Cultura

Le nuove stanze della poesia, Carlo Carducci

Il ritratto di Carlo Carducci per la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Il ritratto di Carlo Carducci per la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Carlo Carducci è un giovane poeta dell’Aquila. Ha vinto nel 2016 il primo Poetry Slam studenti del Centro Sud che si è tenuto a L’Aquila organizzato da Poetry Slam Abruzzo Centro Italia.

Carlo Carducci ha partecipato alle iniziative e performance della Compagnia dei poeti con la quale lo scorso anno ha letto alcune sue poesie al Festival di Tagliacozzo.

I suoi versi sono a volte essenziali tanto da ridursi ad una parola e a volte pieni di tutta la sua cultura e di tutta la sua voglia giovanile di intraprendere viaggi in mondi nuovi.

L’uso di sostantivi aggettivati rafforza proprio questa cosmologia del linguaggio che va oltre la semplice descrizione.
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Sembra entrare con forza dentro mondi sconosciuti e diversi. Pieno di immaginazione il suo impeto di vita , Carlo è un giovanissimo studente, si ritrova nei suoi versi quasi come una programmazione di vita. E alla vita questi versi dicono: “aspetta sto arrivando qanche se qualche volta non sarai come ti ho pensata”.

 

Dicembre declinava mortalmente.
Sulle foglie che limitavano la strada
la neve ghiacciata resisteva al sole.
Dicembre declinava solarmente.
I rami dei castagni muschiosi lasciavano l’odore di terra
impregnata di vita.
Dicembre stava morendo anche sui monti.
L’odore fino dei camini accesi arrivava alla strada che scendeva per il pendio.
I passerotti trasmettevano la diafana essenza del lume supremo.
Il sole con dicembre declinava al canto dei passerotti,
delle vite scaldate dai camini accesi.
Il suono del rivo ingrossato era salpato
dai rami di pioppo caduti,
dalle zolle di terra dell’argine.
I licheni lumineggiavano di tramonto gli esseri arborei.
Vivevo di vita col morire del dicembre
Vivevo di vita e contavo
I petali della mia anima.

Quanto gloriosa sei,
L’Aquila mia
Bagnata dalle fertili acque
Della fontana luminosa.
Quanto vive in te
L’amicizia comune
Il vociare indistinto
Delle vecchiette
Che pregano San Lustio
La distruzione.
Ricorderò
In eterno una
Nuvola
Argenteabianca
Scolorita dal gran
Calore delle fresche estati
Inimitabili.
Pregavo per te colle lacrime
Revolverate lontane del cuore
Esausto
Stanco
Tediato
Ora e per sempre.
Stanco
Tediato
Ora fino
All’ora
Scoccata
Per i morti
E
Tutti i
Tuoi
Amati
Nipoti
Deposti
Ognidove.
Odiata sepoltura
Speranza
Lacrima
Rinascita.
Io sono l’inquietante risata
Che ulula nel buio della notte.
Uno spettro immondo senza petto
Un camionista sull’autostrada
Coi tagli profondi sulle braccia.
Io sono il finale che ti aspetti
Il gioco dei clown accoltellati
Dei baristi notturni ubriachi
Le candele della setta odiata
La scritta a sangue dell’eroinomane.

Crepuscolo, face serale
Cui si adagia
la scura nube
il cielo neostellato
i cipressi affoscati
la scure del legnaiolo
Le foglie stanche
I rami intorpiditi dal dealbore
Le membra declinanti dei fumatori
Le scintille degli accendini
L’occaso dei miei sensi morti.
Ti guardavi ogni sera
Negli specchietti delle auto.
Rifrangevano i tuoi occhi
Le pozzanghere pestate.
Siamo lontani.
Sono una rondine rimasta
Al nord all’avvento dell’inverno.
Non mi circonda più
Il verdeggiare luminoso
Dei fratelli faggi.
Rimane un residuo
Di morte
Nel mio petto.
Una roccia come nido
Che ho poco protetto
Le piogge l’hanno corrosa.
Chi resta e chi va.
Resto con la morte nel piccolo petto.
Non muovo il volo.
Resto. Con la morte nel petto.
Resto. Piango. Sono solo.
Vorrei
Solo
Dimenticare
La
Vita.

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