Il racconto

L’Aquila Brescia 11 anni dopo, Carducci: “Io, medico volontario contro il Covid”

Giuseppe Carducci, medico aquilano partito per Brescia. "Io volontario per gratitudine, dopo gli aiuti nel post sisma".

L’Aquila Brescia, un viaggio di solidarietà iniziato 11 anni fa. Dal terremoto al coronavirus, perché chi è stato aiutato non dimentica. Parola di Giuseppe Carducci.

«Sono andato a Brescia perché nel 2009 dalla città lombarda partirono in molti per aiutarci. Il 2020 ha presentato un altro terremoto, che ha fatto vacillare gli ospedali. Così sono partito e ho aiutato come ho potuto».

Chi parla è Giuseppe Carducci, originario di Tornimparte ma aquilano d’adozione da ormai venti anni. Giuseppe di professione fa il medico chirurgo, specializzato in Chirurgia Generale. Lavora all’ospedale di Avezzano e viveva nel cuore dell’Aquila, affacciato su Piazza Duomo, almeno fino al 6 aprile 2009. Dal post sisma se ne è tornato a Tornimparte, in attesa di poter rientrare a casa, su via Marrelli.

L’idea di partire, per recarsi in una delle città più colpite dall’emergenza coronavirus, nasce da un avviso della Protezione Civile. 

«In questo periodo navigavo spesso sul sito del Ministero della salute – racconta il dottor Carducci – per essere aggiornato sui dati dei contagi. Un giorno, casualmente, ho visto il link del bando per reclutare 300 medici, una task force a disposizione delle zone più colpite. Ho ricordato subito di aver già letto di questo avviso e ho pensato che nelle ormai note zone rosse stessero vivendo l’incubo vissuto da noi aquilani, subito dopo il sisma. Non ci ho pensato su due volte e ho inviato la mia candidatura».

Da lì il passo che ha portato alla partenza è stato breve. Giuseppe Carducci è salito sul volo militare che da Pratica di Mare lo ha portato a Brescia, l’8 aprile scorso. Prima del decollo, a Roma, i medici sono stati sottoposti a tampone. Sull’aereo con i dottori c’erano il Capo della Protezione Civile nazionale, Angelo Borrelli, e il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia.

Carducci Brescia

La destinazione esatta del dottor Giuseppe Carducci, per i 21 giorni di permanenza nel bresciano, è stata l’ospedale civile di Gardone Val Trompia.

Il racconto del dottor Carducci, volontario a Brescia: prima e dopo

Il periodo a Brescia del dottor Carducci, si può riassumere in due momenti caratteristici. L’arrivo e la partenza per il rientro in Abruzzo.

«Erano 120 i pazienti ricoverati all’ospedale civile di Gardone Val Trompia al momento in cui sono arrivato. La situazione era complicata: molti erano i pazienti in Terapia Intensiva e diversi erano i decessi. Il lavoro è stato faticoso, ma si è svolto sempre con serenità. A costare fatica era soprattutto l’approccio: vestirsi e svestirsi di ogni Dispositivo di Protezione, cercare di pensare esclusivamente al proprio paziente e quindi al proprio lavoro. Dormivo in un hotel vicino, dove praticamente facevo e facevamo tutti una vita che definirei ‘monastica’. Svolgevo turni che andavano dalle 8 del mattino alle 16 del pomeriggio. La struttura in cui alloggiavamo ci preparava la cena, noi dalle stanze da letto scendevamo al piano terra a prendere ciascuno il proprio vassoio, senza avere contatti con nessuno. In ospedale mangiavamo da soli, con un panino veloce».

Carducci Brescia

Pasqua, Pasquetta, non c’è giorno festivo che tenga per un dottore, soprattutto ai tempi di un’emergenza sanitaria. Con impegno e sacrificio, cercando di alleggerire il carico di lavoro dei medici locali, l’intera task force medica è andata avanti. Per l’Abruzzo c’erano due medici, oltre a Giuseppe Carducci c’era un dottore del chietino. Purtroppo un medico del team inviato è risultato positivo.

Il dopo che ci racconta Carducci, comunque, ha contorni decisamente meno preoccupanti rispetto al quadro di partenza.

«Quando sono ripartito erano 56 i pazienti totali ricoverati. Già i numeri indicano il miglioramento notevole e progressivo della situazione emergenziale. Sono stato felice di constatare che il nostro supporto è stato importante, i nostri colleghi di Brescia ce lo hanno dimostrato con fatti e parole. Quando siamo arrivati erano sottoposti a dosi di stress veramente pesanti, sapere di essere riusciti a liberarli da qualche fatica mi conforta. Inoltre, l’ho fatto consapevole di non aver arrecato danni alla mia Asl di riferimento, quella provinciale, poiché l’attività di chirurgia generale è stata notevolmente ridotta durante il periodo di pieno lockdown, per dar spazio alle esigenze legate al Covid-19».

Carducci Brescia

Cosa lascerà il lavoro sul fronte coronavirus a Brescia al dottor Carducci?

Oltre i bisturi, i DPI indossati ogni giorno, i singoli pazienti visitati e curati, c’è stato il lato più intimo e umano di un’emergenza toccata con mano. Anche quello è ad altro contagio, un’empatia che non si ferma davanti a una mascherina. E che resta, senza essere portata via da un disinfettante qualunque.

«Ricordo tutti i miei pazienti, non a caso ho chiamato l’ospedale, una volta rientrato a L’Aquila, per avere notizie sulle loro condizioni e sapere se fossero stati dimessi. In generale, si stabilisce con i pazienti un rapporto confidenziale, soprattutto in un momento come questo, in cui viene richiesto un distanziamento fisico in primis dai parenti, che non possono accedere all’ospedale. Quindi il dottore si impegna a non far sentire solo il paziente. Prima della visita c’è un colloquio, in cui si cerca di tranquillizzarlo, di fargli capire l’efficacia della cura e, non ultimo, di strappargli un sorriso. Non lasciavamo mai lo studio se prima non eravamo riusciti a far sorridere un paziente. La speranza non è importante in questi momenti, ma fondamentale».

E fondamentale è stata anche la tecnologia. Non solo per chi è stato chiuso in casa lontano dalla famiglia e dagli affetti rispettando la quarantena, ma anche per quei dottori che hanno deciso di affidarsi al potere delle videochiamate come ‘parte’ della cura dei propri pazienti.

«La seconda fase della visita spesso era quella delle telefonate ai parenti dei malati, per informarli sulle condizioni dei loro cari. Facevamo da tramite, da messaggeri di belle parole. Li aiutavamo, quando possibile, a fare videochiamate. Questo ci faceva entrare nelle famiglie dei nostri pazienti».

Ora il dottor Carducci è tornato a casa. Ha tolto tutte le macerie che ha potuto, rimarginando le ferite di una città che si sta rialzando dalle difficoltà, ogni giorno di più. È tornato in Abruzzo ed ha ripreso il suo lavoro ad Avezzano. Fattor comune tra le due realtà una pandemia che sembra ancora lontana dall’essere sconfitta. Ecco perché, da medico, fa appello ai cittadini affinché si mantenga alta l’attenzione:

«Ora dipende tutto da noi. Il Governo può fare tutte le regole che ciascuno desidera, ma se non saremo noi ad entrare nella giusta mentalità – ovvero quella di stare attenti e rispettare rigorosamente le norme anti contagio – anche un solo positivo registrato sul nostro territorio  avrebbe brutte conseguenze. Comporterebbe, innanzitutto, ricadute a livello psicologico su un’area, quale quella della città dell’Aquila, che da tempo registra zero contagi».

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