L'intervista

L’Aquila Covid Free, il dottor Cosenza: “Agire prima per spezzare il contagio”

L'Aquila Covid Free, perché? Lo abbiamo chiesto al dottor Pierluigi Cosenza, nella task force sanitaria regionale per la Fase 2. "Esagerati 4 Covid Hospital. Ora dobbiamo essere tutti responsabili".

L’Aquila Covid Free. È la provincia meno colpita dal virus in Abruzzo, a dirlo sono i numeri. La lista dei perché è lunga e comprende numerosi fattori. L’analisi del dottor Pierluigi Cosenza, membro della Task Force Sanitaria regionale per la Fase 2.

L’Aquila, Pescara, Covid Hospital, tamponi e test sierologici, Fase 2 e Dea di secondo livello. Emergenza coronavirus in primo piano e non solo nell’intervista al dottor Cosenza, dirigente della U.O.S.D. Area Degenza Breve del San Salvatore a L’Aquila.

Partiamo dal Coronavirus, perché L’Aquila Covid Free?

«Sono principalmente 3 i motivi per i quali L’Aquila è Covid Free, espressione che – dopo una mia dichiarazione in un’intervista – sono felice di constatare sia stata condivisa e ripresa dal dottor Cialente. Il primo è costituito dalle conseguenze portate dal sisma del 2009. Dall’immediato post terremoto, L’Aquila è rimasta per anni senza un suo autentico centro: la gente in città per anni si è rivolta prevalentemente alla grande distribuzione. Dal momento in cui, in piena emergenza sanitaria, vengono chiusi i centri commerciali e i negozi riaperti in centro è andata a ridursi, al contempo, la possibilità di contatti o interscambi. In linea generale già statisticamente inferiore rispetto a una città come Pescara».

«Poi c’è la posizione geografica, che fa dell’Aquila una città lontana dalla definizione di ‘nucleo di scambio’. Non c’è un porto o un aeroporto. Pescara, invece, da città costiera si presta maggiormente ad essere centro di scambi. Un dato strettamente connesso alla nostra densità abitativa provinciale, molto più bassa rispetto a quella delle altre tre province d’Abruzzo».

Infine c’è il fattore Università, come spiega ancora il dottor Pierluigi Cosenza. «La chiusura dell’Università è stata determinante nel limitare le presenze a L’Aquila. Gli studenti fuori sede sono tornati a casa. L’assenza del movimento legato alla realtà universitaria ha concorso alla diminuzione del rischio contagio. Senza parlare, inoltre, dei cantieri bloccati, che contano un indotto di circa 15mila lavoratori in totale, provenienti anche da altre province e da diverse regioni. Lo stop di tutte queste attività ha ridotto notevolmente la percentuale degli scambi in città».

Emergenza coronavirus e Covid Hospital

«Ritengo sia stato relativamente esagerato trasformare i quattro principali ospedali provinciali in Covid Hospital».

Sul fronte gestione dell’emergenza Cosenza spiega alla nostra redazione: «Credo che un’indagine epidemiologica, eseguita prima dell’esplosione del virus o al principio dell’emergenza stessa, avrebbe potuto suggerire una gestione diversa della situazione. Rendere i quattro ospedali delle province Covid Hospital ha inevitabilmente ingessato tutti gli altri aspetti dell’attività medico-sanitaria. Un’analisi preventiva geografica, politica e sociale, avrebbe forse consentito di lasciare L’Aquila città completamente Covid Free, rendendo il San Salvatore il centro ospedaliero di riferimento per esigenze differenti dal virus, con pazienti da ogni provincia».

In quest’ottica un nucleo ben isolato sarebbe stato dedicato al coronavirus, lasciando l’ospedale disponibile per tutte le esigenze diverse dalla pandemia in corso. Un nucleo che sarebbe potuto essere, proprio, quello dei locali del G8, appositamente riattivati per far fronte all’emergenza.

L’Aquila Covid Free, cosa cambia la fase 2?

«Suppongo che la Fase 2 in atto cambierà il quadro attuale relativo alla situazione Covid a L’Aquila. Dovremo fare i conti, innanzitutto, con il traffico dei pendolari provenienti da diverse regioni, che si troveranno a viaggiare tutti i giorni o comunque settimanalmente. Sarà come avere un esercito sempre nuovo, impossibile da controllare. Al tempo stesso, credo che il distanziamento, il corretto utilizzo delle mascherine e tutte le misure consigliate per evitare il rischio contagio potranno agevolare l’attività di controllo del rischio. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti».

I test sierologici potrebbero essere utili per le ripartenze e le riaperture calendarizzate?

«I test sierologici servono per sapere lo stato di malattia del paziente. Ad esempio un portatore sano potrebbe essere scoperto se sottoposto a un test sierologico. Quindi sono utili, ma non risolutivi. Se il test viene seguito dal tampone ci dà la possibilità di diagnosticare più facilmente casi di positività. Il problema più grande, tuttavia, in questa Fase 2 sarà cercare di agire prima, non post: prevenire il rischio. Bisognerebbe spezzare la catena di contagio e, credo, siamo sulla buona strada. Si vede dai dati: diminuiscono i pazienti in terapia intensiva e aumentano quelli in isolamento domiciliare attivo. Questo anche perché abbiamo iniziato a conoscere il virus e a capire come trattarlo».

Abruzzo, tra emergenza e Dea di secondo livello

«Credo che in futuro non si potrà prescindere da un’unica Asl regionale-territoriale, che possa rappresentare ogni singolo territorio allo stesso modo. Motivo per il quale non sono favorevole al progetto del Dea di secondo livello».

È netta la presa di posizione del dottor Cosenza. «Il Dea di secondo livello riguarda due aspetti principali: quello tecnologico e quello strutturale. Non ritengo che in Abruzzo ci sia una struttura in grado di ospitare un modello simile. Inoltre se ne parla tanto, ma si tratta semplicemente di un riconoscimento che fotografa le unità operative di una struttura. Al Dea di secondo livello preferisco, appunto, quattro Asl multi presidio con un meccanismo di rete. In sostanza quattro aziende sanitarie che diano una vocazione ad ogni ospedale, senza correre il rischio di far chiudere presidi più piccoli. Una rete di strutture specializzate, in cui ogni paziente trovi il centro di riferimento a cui rivolgersi per la propria patologia».

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