Coronavirus - poesia in emergenza

Emergenza Poesia, la cameretta non è più rifugio

Torna l'appuntamento con la poesia, in tempi di emergenza Coronavirus: lo spunto proposto da Alessandra Prospero oggi è tratto dal Canzoniere di Petrarca

Emergenza Poesia, la cameretta non è più rifugio

O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto.

O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver ’me crudeli a sí gran torto!

Né pur il mio secreto e ’l mio riposo
fuggo, ma più me stesso e ’l mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;

e ’l vulgo a me nemico et odïoso
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ò di ritrovarmi solo.

O mia camera, che un tempo sei stata un rifugio sicuro
dalle gravi angosce che provavo durante il giorno,
ora durante la notte sei fonte di lacrime
che il giorno cerco di nascondere per vergogna.

O mio letto, che eri pace e conforto
in tanti affanni, l'amore ti bagna con urne dolorose
attraverso quelle mani di avorio
che sono crudeli solo verso di me, così ingiustamente!

E io non fuggo solo il mio segreto e il mio riposo,
ma soprattutto me stesso e il mio pensiero,
mentre talvolta seguendolo mi sono alzato in volo;

e invece il popolo a me ostile e odioso
cerco quale mio rifugio (chi l'avrebbe mai pensato?):
è tale la mia paura di ritrovarmi solo.

sonetto tratto dal “Canzoniere” di Francesco Petrarca

In quarantena abbiamo nostro malgrado più tempo per rimuginare sui nostri problemi e non vi sono scappatoie. La mente si arrovella in una circolarità del pensiero che deve aver tenuto in ostaggio anche il poeta Francesco Petrarca.

Egli, non trovando più pace nelle ore notturne, a causa della sofferenza amorosa per Laura, non vive più la sua camera come un rifugio. Lacrime sconsolate accompagnano le ore del riposo su un letto che non lo accoglie più, ma lo fa sentire ancora più solo. Petrarca, contrariamente allo stereotipo del letterato che rifugge il contatto con il mondo, ricerca il popolo, che prima gli era odioso, poiché ha bisogno di mescolarsi tra la folla. Solo questo può distoglierlo dalla sofferenza dei suoi pensieri e dalla vergogna che le proprie lacrime gli suscitano: spesso solo l’incontro con gli altri può salvarci dai nostri pensieri.


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