Coronavirus e ricordi

Coronavirus, Fortunato Galeotti scalda el cor d’Urbino

Nel silenzio causato dal Coronavirus, Fortunato Galeotti ripopola le vie e fa rivivere le giornate della sua Urbino degli anni '50.

Coronavirus, Urbino vuoto e silenzioso.

Fortunato Galeotti ha rapito i cuori degli urbinate raccontando le vie popolate e rumorose, lontane dal Coronavirus.

Dietro gli occhi di Fortunato ottantacinque anni di storie di una Urbino lontana ed affascinante. Gli urbinate in quarantena si sono lasciati trasportare in dietro nel tempo, dalle parole di Fortunato Galeotti che con semplicità e sensibilità ha descritto in dialetto i suoi ricordi.

Le giornate passate lungo le strade sorridenti e affaccendate di una Urbino presa da mille mestieri e altrettanti pensieri, rievocate nei dettagli e nei personaggi, ormai quasi pittoreschi, con l’orgoglio di chi ha conosciuto “casa” dentro ogni vicolo.

Il fatto curioso è che Fortunato, 85 enne scattante ed energico, riversi i racconti degli artigiani e delle passeggiate al sole di un periodo lontano, sulle pagine di un modernissimo social, mettendosi a disposizione della cultura collettiva, servendosi di strumenti che, in quell’epoca, mai avrebbe immaginato di padroneggiare.

Fortunato è un’enciclopedia di vita e tradizioni, è la bocca del passato in questo presente fatto, anche, di grossi disagi. Nei giorni della lontananza e delle abitudini negate, le sue poesie, ormai simbolo della Urbino anni ’50, scaldano la memoria e danno un segnale di forza.
E’ tempo di scaldarsi con le sue immagini con maggior vigore di sempre. Lui che “La mia prima casa era in via Veterani davanti al Duomo, e lì sono stato fino a 25 anni; poi sono stato in via Barocci e ora vivo sopra al cimitero in via Mulinelli. Non ricordo di essere mai stato in un altro posto”, così ha raccontato a Giulia Ciancaglini del “Ducato” in un’intervista che racconta le sue poesie. Una su tutte in realtà. Fortunato ha scritto di questo male silenzioso e spietato, e lo ha fatto come faceva Pollyanna col “gioco della felicità”.

Il virus ha permesso di restaurare un dipinto facendo venir fuori cosa era rimasto nascosto sotto l’incuria del tempo, di “vedere bene cosa era rimasto sotto, in questo caso tutti quelli che prima di loro avevano lavorato nelle botteghe di Urbino”. E Fortunato li nomina tutti, o quasi. Da Filo Piergiovanni a Pino Pretelli, i guardiacaccia Carnaroli padre e fiol, Livio che vendeva la crescia, e Galanti che vendeva i boton. Rino Fabi faceva el cafè, Lello el camerier.

Come in una novella rusticana, Fortunato racconta i mestieri della sua città e ne sente la mancanza. Qualcuno si è commosso leggendo quelle storie. Dietro quel ricordo condiviso una riflessione per nulla scontata. “Io ho vissuto la vita qui quando c’è stata la guerra ed ero un ragazzino. Per riscaldarsi ci si ammassava tutti vicino al camino – racconta Fortunato –. Adesso abbiamo la casa sempre al caldo, la televisione, la luce elettrica, internet, il telefono. Abbiamo molto di più oggi dentro casa che ieri fuori”.

È un invito all’essere responsabili e a farlo con la gioia nel cuore, perché quando la vita era più semplice, quando le strade di Urbino cantavano di speranza, c’era poco da mangiare e tanto da fantasticare.
Oggi abbiamo tutto e combattiamo una guerra senza armi, al caldo delle nostre case. E magari, se siamo ancor più fortunati, qualcuno, come ha fatto lui, ci racconterà la vita ai tempi dei nostri nonni.

“Insomma ste corona virus tla mi solitudin ha funsionat da restaurator ,levand la vita de og da sopra quella de ieri che non me lasciava veda piò gnent, per ades men nuti a trovè lor, speram che a restituì la vissita en sia obbligatoria. Saluti a tutti …”