Coronavirus - dillo al capoluogo

Coronavirus, dopo il 6 aprile una ferita che si riapre per gli aquilani

La lettera aperta di un'aquilana che, dopo aver vissuto il 6 aprile 2009, vede nel Coronavirus una ferita che si riapre.

Il Coronavirus e i suoi risvolti psicologici, nelle parole di un’aquilana che ha vissuto la disgregazione e le problematiche post sisma.

Il Capoluogo ha deciso di pubblicare la lettera di un’aquilana che come molti, in questo clima di emergenza da Coronavirus, caratterizzato da un’immensa Zona Rossa che va da Nord a Sud dell’Italia, ha rivissuto quel senso di impotenza e di incertezza dell’immediato post 6 aprile 2009.

Per chi come noi aquilani ha vissuto il terremoto del 6 aprile 2009 il Coronavirus è un ripiombare in quella situazione di pericolo, di paura e di incertezza.

Le lacrime scendono ancora una volta come allora, pensando a chi non ce l’ha fatta, ieri erano quelli che non sono riusciti a fuggire dalla casa che crollava e oggi sono quelli che non sono riusciti a vincere il virus.

Piangi perché leggi dei contagi che aumentano, perchè pensi ai bambini, ai tanti giovani intubati negli ospedali di tutta Italia, ridotti al collasso.

All’epoca ci venne detto di uscire dalle nostre case, non sapevamo dove andare, per ritrovarci poi disgregati sulla costa prima e nei Map e nel Progetto Case poi, perdendo quei punti di riferimento tanto cari per la nostra quotidianità.

Oggi ci viene detto di stare in casa, di non uscire se non per necessità estrema.

Perchè il Coronavirus si trasmette con il contatto tra umani e la casa, quella da cui siamo scappati 11 anni fa, oggi è quel nido sicuro che tanti di noi hanno ricostruito a fatica e con tanti sacrifici.

Il Coronavirus oggi chiede alla società di diluirsi, prolungando le restrizioni e estendendole.

Proprio come è successo 11 anni fa, quando non potevamo rientrare nelle nostre case, quando la nostra routine era scandita dagli orari stabiliti nei campi per i pasti e per i rientri, privati, causa forza maggiore, di tante piccole libertà che fino al 5 aprile 2009 sembravano scontate.

Restrizioni e regole che anche adesso pesano su tutti, specie tra i gli adolescenti, “affamati” di amicizie e di incontri, anche se, molti di loro, hanno abdicato ai social, dove è più facile, dove la tastiera protegge da timidezze e inferiorità.

Proprio quei social che qualcuno demonizza oggi consentono a questi ragazzi di non restare indietro con lo studio, di poter sentire la fidanzatina, gli amici, accarezzarli, se non fosse altro, attraverso uno schermo o un click.

Poi ci sono gli anziani, quelli che i social non li usano e per cui la passeggiata era un rito irrinunciabile: il bar, la partita a carte, arrivare in piazza Duomo per trovare un palazzo nuovo, una via riaperta, un nuovo negozio che dà un senso alla vita che scorre, che dà l’idea di una città che, seppur ferita nel suo cuore storico, non si è mai piegata del tutto.

Oggi, 11 anni dopo, c’è chi la casa ancora non ce l’ha e si trova in uno stato di isolazionismo dentro 40 mq, senza poter incontrare i vicini, gli amici, perdendo quella quotidianità che abbiamo ricostruito a fatica in questi 11 anni.

Per molto tempo ci sono sembrati un porto sicuro anche i corridoi di un centro commerciale, dove è stato possibile rivedere qualche viso amico.

Oggi i negozi, i bar, gli uffici, i corridoi del centro commerciale possono essere veicolo di contagio…

Poi pensi a chi a casa vorrebbe starci e non può, ai tanti medici costretti a turni massacranti, al personale infermieristico, a chi lavora nei cantieri, agli operai impegnati nelle fabbriche e nella ricostruzione della città, ai commessi e alle commesse dei supermercati, assaltati nei giorni scorsi per paura, come in guerra, di rimanere anche senza cibo.

Tanti non hanno nessuno, qualcuno è rimasto solo proprio a causa del terremoto, tra chi ha perso la moglie, la mamma, il marito, il figlio, il papà… Abbiamo pianto tanto i nostri morti ma siamo andati avanti anche per loro, ricostruendo la nostra felicità tassello a tassello.

Oggi siamo di nuovo soli, perchè c’è chi ha il calore della famiglia, ma in questi giorni bisognerebbe pensare a chi, per un motivo o per un altro, non ha con chi sfogarsi.

Per noi aquilani il Coronavirus è una ferita che si riapre; ma una limitata dose di paura e allerta sono necessarie, anzi fondamentali per poter attivare e agire senza perdere lucidità.

Non dobbiamo perdere la calma, ma soprattutto la speranza, perchè abbiamo superato la fase più brutta della nostra vita e anche questa volta ce la faremo. Tornerà il sole a splendere, torneranno giorni felici.

#Vinciilvirus #iorestoacasa

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