Cultura

Le nuove stanze della poesia: Ottaviano Giannangeli

Per la rubrica "Le nuove stanze della poesia", un ritratto di Ottaviano Giannangeli, poeta, romanziere e critico letterario originario di Raiano.

Per la rubrica “Le nuove stanze della poesia”, un ritratto di Ottaviano Giannangeli, poeta, romanziere e critico letterario originario di Raiano.

« Per nessuno dei continenti
attinti dai miei paesani
io ho navigato,
Ma nel loro pensiero abito il mondo »

 

(da Tra pietà ed ironia ed epigrammi)

 

Il ritorno sulle pagine de Il Capoluogo di questa rubrica mi da l’opportunità nella puntata di questo giovedì di parlare di un poeta abruzzese in lingua e in dialetto a cui con grande dedizione e capacità non comuni Andrea Giampietro dedica un libro di testimonianze.

Ventitre testimonianze in onore di Ottaviano Giannangeli nel libro “Un gettone di memoria. 23 voci per Ottaviano Giannangeli”, Edizioni Menabò, Ortona 2019.

Ottaviano Giannangeli nacque a Raiano, paese in provincia dell’Aquila. Dal 1948 al 1973 Giannangeli insegnò Lettere in varie scuole medie inferiori e superiori d’Abruzzo. In seguito diventò professore associato di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la facoltà di Lingue dell’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Pescara.

Nel 1957 fondò a Sulmona, insieme a Fausto Brindesi, la rivista letteraria Dimensioni. Rivista abruzzese di cultura e d’arte, che si avvaleva della collaborazione di autori come Carlo Bo, Ignazio Silone, Mario Pomilio, Ettore Paratore e Laudomia Bonanni. La rivista chiuse nel 1974.
Con affetto ha sempre ricordato nelle sue composizioni la terra d’Abruzzo ed il suo paese natale e con accenti di umanità e di pietà ha affrontato una riflessione  su un endemico fenomeno sociale di queste sue terre: l’emigrazione, sia in lingua sia in dialetto (da Preghiera degli esuli abruzzesi a Addie, addie muntagne musicata da Antonio Di Jorio,  esprimendo  una partecipe solidarietà alla condizione di sradicamento degli emigrati e degli emigranti, alla loro aspirazione al ritorno in patria.

Di particolare rilievo è il suo studio critico dell’opera poetica di Eugenio Montale. Nel 1969 il saggio Il significante metrico in Montale apparve nella rivista Dimensioni. Come testimonia Giorgio Varanini, Montale apprezzò molto il lavoro di Giannangeli: «Accennando alla problematica inerente alla metrica delle sue poesie, [Eugenio Montale] mi dichiarò che lo scritto più acuto e valido nel merito, era dovuto a Ottaviano Giannangeli». Nel 1970 lo stesso Montale scrisse personalmente a Giannangeli per congratularsi del suo lavoro, come testimonia la lettera autografa pubblicata nel libro Metrica e Significato in D’Annunzio e Montale (Solfanelli, Chieti, 1988).

ottaviano giannangeli

Ha pubblicato la sua prima opera poetica nel 1944, intitolata Ritorni. A questa sono seguite altre raccolte di versi in lingua e in dialetto tra le quali vanno ricordate almeno: Gli isolani terrestri (1958), Canzoni del tempo imperfetto (1961), Un gettone di esistenza (1970), Il libro di Ottavio (poesie dialettali con un’appendice sui codici linguistici,1979), Tra pietà e ironia ed epigrammi (1988), L’Italia sotto seguestro (1990), Litanie per Marin e altri versi (poesie in dialetto,1994), Un sito per l’anima (2008).

ottaviano giannangeli

Pietro Civitareale scrive di lui : Oltre settant’anni di esperienza poetica, dunque, nella quale egli ha concentrato l’attenzione sulla propria condizione di vivente, ha difeso le proprie ragioni, ha organizzato la virtù della memoria (che, nella sua psicologia, è sempre stata del resto il centro di riferimento) con sullo sfondo, presenza attiva e costante, il suo luogo di nascita, la gente in mezzo alla quale è vissuto: insomma la sua abruzzesità. Non la “memoria demente” di Ungaretti né quella “remota e statica” di Montale, ma una memoria mobile e cordiale, razionale e fantasticante ad un tempo, in grado cioè, attraverso un folto sistema di segnali del vissuto, di rigenerarsi in spazi e tempi diversi, come se volesse lasciare aperto un varco in vista di una prosecuzione non tanto dell’esistere quanto della poesia ovvero l’invenzione di uno scenario nuovo e di un personaggio altro, soccorrevole nel tempo e contro il tempo, convinto del rapporto ineludibile esistente tra biografia e poesia, tra storia individuale e scrittura.

Un identico atteggiamento (nel quale la dimensione biografica coinvolge sia il processo di svelamento della verità fattuale ed esistenziale che il modo in cui il Soggetto interpreta la propria funzione nel processo poetico) si ritrova nella sua attività di lettore professionale, di critico letterario, non senza una puntigliosa attenzione alla parola, alla frase, alla lingua, insomma allo stile dell’autore in esame, in ordine ad un tipo di lettura che non si accontenta dei rilievi fatti, ma vuole anche che risulti evidente come l’opera si articoli, quali siano le sue strutture portanti ed in che modo essa superi il dato meramente estetico e fattuale.

Lettore di Pascoli, D’Annunzio, Camerana, Montale, Caproni, Clemente ed altri autori italiani ed abruzzesi del Novecento, la sua attività di critico si è concretata in numerose pubblicazioni antologiche e saggistiche, tra le quali citiamo: Canti della terra d’Abruzzo e Molise (antologia, 1958), Poeti dialettali peligni (antologia, 1959), Umberto Postiglione (1960), Qualcosa del Novecento (1959), Operatori letterari abruzzesi (1969), Pascoli e lo spazio (1975), La bruna armonia di Camerana (1978), Metrica e significato in D’Annunzio e Montale (1988), Parole d’Abruzzo. Otto poeti dialettali della regione (2001), Scrittura e radici.Saggi 1969-2000 (2002).”

Gianfranco Giustizieri nel recensire Il volume di testimonianze  a cui ci siamo riferiti inziando questo  scritto mette in evidenza alcune testimonianze che si presentano anche un Giannangeli  che aveva: «[…] una competenza musicale non comune per un uomo di lettere (per taluni canti aveva composto, oltre che i versi, anche la musica), ben chiari i connotati tecnici del canto abruzzese, nella sua pluralità di forme e tipologie […]» (Della Sciucca) e dimostrava la sua profonda conoscenza del repertorio musicale dei maggiori compositori abruzzesi come Di Jorio, Polsi, Tosti, Albanese ed altri dedicando studi: «[…] al canto popolare e alla canzone d’autore, in cui ne mette a fuoco le caratteristiche metriche, cercando di individuare il punto in cui le due forme espressive sembrano congiungersi […]» (Leonzi).

da Arie de la vecchiaie

«A ti che vu sapèje

cheste frasette fine…»

(Nonne sta ascise allóche

accante allu camine.)

«… p’ammentà le canzune

pe’ fà sentì alla gente…»

(Se sente pe la cappe

n’azzunejà de viente.)

«… ecche na bella cose

che m’haje recurdate…»

(La cose tra la vampe

s’è belle che scriate.)

«A te che vuoi sapere / queste frasette fini…» / (Nonna è seduta lì / a un lato del camino.) // «… per inventar canzoni / da far sentire a gente…» / (Si sente per la cappa / un ronzare di vento.) // «…ecco una bella cosa / che mi sono ricordata…» / (La cosa tra la vampa / bel bello si è screata.) (Traduzione isometrica dell’autore). da Arie de la vecchiaie

E camine camine

E camine camine

‘mmezz’a chesta restóppela puntute,

e chiù nen te recuorde

(tiempe luntane,

dope nu mese appene), tra lu grane,

sott’a chel’ora calle,

i fiuritte turchine,

tutte na seta gialle,

lu papambre che adoppie piane piane.

E cammini cammini / in mezzo a questa stoppia che ti graffia, / e più non ti ricordi / (tempo lontano, / appena dopo un mese), di tra il grano, / sotto a quell’ora calda, / i fioretti turchini, / tutta una seta gialla, / il papavero che ti assonna, piano. (Traduzione isometrica dell’autore)

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