Politiche sociali

Ludopatia a L’Aquila, un gioco a perdere

In III Commissione consiliare i dati della Asl sulla ludopatia a L'Aquila. I lavori in Aula.

Nel 2015 erano zero le persone con problemi di ludopatia presi in carico dal Ser.D. L’Aquila. Nel 2018 sono 51. In III Commissione la relazione della Asl.

L’AQUILA – Sentita questa mattina in III Commissione Politiche sociali, la dottoressa Daniela Spaziani, responsabile del Ser.D, sulle problematiche legate alla ludopatia. Inequivocabili i dati: in tre anni le persone che si sono rivolte al Ser.D. per problemi legati alla ludopatia sono passate da zero a 51, e il dato è destinato a crescere. Prima dei dati relativi a L’Aquila e l’Abruzzo, la dottoressa Spaziani ha illustrato la situazione a livello nazionale, che fa della ludopatia “un gioco a perdere”: nel 2018 la raccolta sul gioco d’azzardo si è attestata intorno ai 102 milioni di euro, con 10,3 milioni incassati dall’erario. Lo Stato, però, per problemi legati alla ludopatia sostiene costi esorbitanti che sfiorano i 3 miliardi di euro, tra costi sanitari, costi di disoccupazione e mancata produttività, costi tra suicidi e rotture familiari e costi relativi a problemi legali. Insomma, “grazie” alle macchinette lo Stato incassa 10 milioni di euro e ne spende 3 miliardi.

Ludopatia a L’Aquila e in Abruzzo.

Nello specifico della realtà regionale, L’Aquila (con un “giocato fisico” di 126 milioni), è la seconda città abruzzese, dietro Pescara e davanti a Chieti e Teramo. Nella classifica nazionale fatta in base all’importo pro capite destinato al gioco d’azzardo, il capoluogo (con 2204 euro) è la decima città italiana. Peggio Pescara e Teramo, rispettivamente al secondo e terzo posto. Altri dati significativi, il triste primato del 2015, per il quale L’Aquila ha il maggior numero di slot machine per numero di abitanti, con una raccolta pro capite tra i disoccupati di 721 euro, rispetto ai 614 della media nazionale. Nel 2017 un altro triste primato, quello del rapporto tra disoccupazione e spesa pro capite per il gioco d’azzardo. Il giocatore patologico “tipo” è maschio ed ha un’età tra i 45 e i 49 anni.

Capitolo a parte per giovani e giovanissimi: il 49% degli studenti ha giocato almeno una volta nella vita, il 47% nell’ultimo anno. Nel 2018 ha giocato d’azzardo il 44% dei minorenni.

A fronte di questi dati, la Asl ha messo in campo diverse attività di prevenzione e sensibilizzazione, anche questi illustrati dalla dottoressa Spaziani, che ha anche spiegato l’importanza di mettere in campo iniziative di regolamentazione per l’accesso al gioco d’azzardo.

Sentiti in Commissione anche i rappresentanti delle associazioni di categoria. In particolare, il vice presidente di As. Tro, Paolo Gioacchini, ha tenuto a sottolineare il problema non viene certamente negato dagli operatori del settore, ma «detrminate restrizioni non risolvono il problema e mettono a rischio posti di lavoro». Stimate in 84 (stima al ribasso) le unità di operatori che perderebbero il lavoro, se passassero restrizioni, come quella sul limite orario. A favore della tesi dell’inutilità delle restrizioni, portati studi relativi all’aumento delle giocate, in prossimità del “limite” e il fenomeno della “migrazione” relativamente all’allontanamento delle sale slot dai centri sensibili. Migrazione anche verso scommesse illegali. Di contro, le associazioni di categoria propongono azioni sinergiche di prevenzione, educazione e formazione.

Ascoltate le relazioni, la Commissione è stata aggiornata.

Le interviste video all’assessore Francesco Bignotti e alla dottoressa Daniela Spaziani.

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