Don Fabio stoppa le passerelle

1 settembre 2016 | 17:30
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Don Fabio stoppa le passerelle

di Roberta Galeotti

In molti avrete notato ai funerali delle vittime di Amatrice che le più alte cariche dello Stato sedevano in mezzo alla gente, dietro i familiari delle vittime.

In pochi sappiamo che l’autore di questo gesto significativo, e non solo, è un giovane prete Don Fabio Gammarota, da otto anni parroco di Posta e Cittareale, i due piccoli comuni del Reatino al confine con Amatrice.

Don Fabio, poco prima che la messa iniziasse, ha anche imposto ai militari dell’Esercito ed ai corazzieri dei carabinieri che stavano sistemando sotto la chiesa-tendone le corone di fiori istituzionali, che venissero portate lontano dai feretri e dalle telecamere.

«Queste le portate via, la cerimonia non ha bisogno di sponsorizzazione» con queste parole Don Fabio ha gelato i militari e riportato nel giusto ordine di importanza gli avvenimenti. Un accenno di applauso è scattato tra la folla, esasperata dal dolore, ma tra la confusione in pochi hanno sentito le sue parole e si sono resi conto dell’accaduto. Le corone sono tornate indietro, subito. Lontane dall’altare, fuori dalla chiesa. Le quattro grandi corone: del presidente del Consiglio, del presidente del Senato, della sindaca di Roma e del presidente della Regione Lazio. Sono state appoggiate di lato, lontano dalle inquadrature tv.

Per un periodo Don Fabio è stato sacerdote anche ad Amatrice. E lunedì scorso è stato, insieme al sindaco di Amatrice ed alla popolazione, un protagonista attivo dell’opposizione (vincente) ai funerali da celebrare all’aeroporto di Rieti.

don fabio gammarota

Un umile pretino di provincia contro le più alte cariche dello Stato.

Intervistato da Repubblica, il prete ha spiegato le ragioni della sua imposizione: «Toglievano la vista della messa a chi stava dietro, c’erano diversi familiari. Il giorno dopo il fiore è già morto, invece i problemi restano. In un funerale come questo il profluvio di corone costa migliaia di euro. Una sola va dagli ottanta ai quattrocento, soldi buttati. Perché chi ha firmato quegli addobbi floreali non ha fatto un assegno di pari valore?»
Una posizione che sa un po’ di polemica contro le istituzioni. E infatti Don Fabio ha il dente vagamente avvelenato contro la gestione del territorio distrutto dal sisma: «C’è rabbia pregressa, è indubbio. Nessuna critica ai soccorsi e alle prime azioni del governo, ma va ricordato che la provincia di Rieti è frutto di uno spezzatino. Un po’ tolta da Roma, un po’ da Ascoli, un po’ dall’Aquila. Il risultato è che per arrivare qui non c’è neppure una ferrovia».

Stoccata finale contro la presenza invasiva ed esibita dello Stato e dei suoi rappresentanti in un momento di intimo dolore come i funerali delle vittime: «Mi piace l’ idea che chi viene da fuori e assiste a un dolore di questa portata si accomodi nella sedie in fondo e aspetti che il protagonista di quel dolore gli dica: “Amico, vieni a sederti con noi, davanti”. Roma ha inghiottito la nostra gioventù. L’unica risposta a questa ingordigia è sul territorio. Oggi dobbiamo lasciare a terra ogni piccola faida di paese e creare una comunità unica, Amatrice, Accumoli, Posta, Cittareale. Una tragedia come questa può essere superata solo qui e insieme».