La Carbonaia ricostruita a Tornimparte

Una piccola comunità del più grande Comune di Tornimparte si batte da anni per mantenere in vita usi, costumi e tradizioni dei propri antenati. Infatti, nella mattinata di domenica è stata effettuata la mietitura del grano con l’impiego del famoso falcetto e con l’uso delle più moderne attrezzature. Un confronto ideale per far capire alle nuove generazioni il progresso che la società contadina ha subito nel tempo. Contestualmente, nell’area antistante la sede provvisoria dell’Associazione Culturale Rocca San Vito, mani esperte, come quelle di Vincenzo Gianforte, hanno ricostruito fedelmente la carbonaia, in dialetto locale “Ju catozzu”. Alle sedici in punto sono iniziate le operazioni di accensione sotto lo sguardo attento di centinaia di persone e, specialmente, di tantissimi giovani e bambini che non avevano mai visto la carbonaia. Nelle immediate vicinanze della carbonaia era stato acceso un fuoco per creare brace e tizzoni ardenti. Con delicatezza quasi rituale, alcuni anziati del posto, tra i quali ho riconosciuto l’ottantanovenne Di Battista, con la pala raccoglievano la brace per porgerla al fuochista Gianforte che la faceva calare delicatamente nel camino. Non si udiva il minimo rumore. La gente ha seguito con attenzione tutte le fasi, ascoltando le indicazioni di Gianforte enunciate con molta emozione quando ha elencato i maestri di vita che gli hanno inculcato nella mente la cultura della carbonaia. L’ordito di legname, è stato accuratamente ricoperto da uno strato di terra, che ha il compito di limitare notevolmente lo scambio di ossigeno con l’interno, allo scopo di consentire una lenta combustione del legname che, altrimenti, finirebbe soltanto in cenere. È stato veramente toccante il momento in cui il primo fumo, uscito serpeggiante dal camino, si è innalzato verso il cielo azzurro. Da quel momento la carbonaia richiede una costante sorveglianza per evitare che la combustione abbia a cessare. Ha bisogno di alimentazione continua di piccoli pezzi di legno per assicurare una continua bruciatura del legname composto. Contrariamente a quanto si possa pensare la combustione del legname della carbonaia inizia dall’alto e non dal fondo del camino. Dopo alcuni giorni, con un appuntito palo, i carbonai praticano dei fori equidistanti lungo il perimetro alto che vanno sotto la denominazione di “boccole di fumatura”. Per avere una idea precisa del processo in atto, nei giorni successivi si aprono altri fori chiamati “boccole di spia” e “direzione della combustione”. Non manca l’ulteriore apertura di nuovi fori di “fumatura”. Dopo circa una settimana cessa la combustione. Inizia la sfase di smontaggio della cupola con la rimozione dello strato di terra protettiva, che si è indurito per effetto del calore. Se tutto è andato per il verso giusto, il carbonaio tira un sospiro di sollievo e di soddisfazione nel portare alla luce il carbone di ottima qualità che assume la denominazione di “cannellino”, la migliore qualità che la professionalità possa offrire subito dopo, all’interno della sede sociale si è svolto un apposito convegno sulla “carbonaia”. Il neo Sindaco ha portato il saluto dell’Amministrazione, impegnandosi a sostenere l’attività socio culturale che l’Associazione Rocca San Vito porta avanti da diversi anni. Anche Domenico Fusari, rappresentante dell’UNPLI regionale ha assicurato, come Pro Loco, tutto l’appoggio all’iniziativa. Vincenzo Gianforte ha illustrato esaurientemente tutte le tappe della vita che lo hanno portato a mantenere in vita questa edificante tradizione. Febo Grimaldi, maestro della cinematografia aquilana, ha dato un valido contributo alla manifestazione, ripercorrendo le varie tappe della sua attività professionale e ricordando a tutti di aver girato un filmato sulle carbonaie proprio a Tornimparte nel 1967. La prestigiosa pellicola è stata proiettata al termine dell’intervento. Mario Santucci ha posto in evidenza che non bisogna limitarsi a produrre sforzi solo per manifestazioni sporadiche. Occorrerebbe ampliare l’arco delle conoscenze e, unitamente alle Istituzioni locali, promuovere la divulgazione delle tradizioni, creando anche una rete per la divulgazione delle stesse al di fuori dei confini comunali e regionali. Giustino Parisse ha ricordato a,che per esperienze vissute con esponenti del posto, che proprio le tradizioni, raccontate da persone semplici e piene di saggezza, possono determinare attenzioni e interessi da parte delle comunità locali e nazionali. Comunque, ha proseguito Parisse, non si può vivere di solo turismo. Bisognerebbe fare in modo che il turismo assuma il ruolo di integratore economico nell’ambito di un progetto di sviluppo più ampio e razionalmente programmato. In uno spaccato politico sociale critico, preciso, puntuale, ma giustamente impietoso, ha posto in evidenza carenze, difetti e mancanza di idee progettuali delle realtà politiche locali. Fulgo Graziosi ha richiamato l’attenzione della denominazione “catozzu” esistente in altre località nazionali e, in particolare, a Guardiagrele, determinata sicuramente dal fenomeno degli scambi culturali e sociali che avvenivano con il sud Italia attraverso la transumanza. Non sarebbe sbagliato, a tal proposito, mettere in piedi una specie di gemellaggio proprio con Guardiagrele. Ha, poi, insistito sulla necessità di erudire i giovani sulla storia dei nostri avi, sugli usi e costumi delle genti d’Abruzzo, soprattutto perché nella storia non si legge solamente il passato, ma si legge anche il futuro e lo sviluppo socio economico del territorio. Al termine del convegno, Gabriele Coccia, a nome dell’Associazione Culturale Rocca San Vito, ha consegnato a Febo Grimaldi la “Spiga d’oro” per la lunga e costante attività, svolta con passione, per far conoscere le bellezze e o tesori del nostro territorio in campo nazionale e internazionale.