Sfruttamento manodopera per ricostruzione, arresti

Dalle prime ore del mattino i carabinieri del comando provinciale dell'Aquila, insieme ai reparti territoriali competenti, stanno dando esecuzione ad una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di una presunta associazione per delinquere ritenuta composta da soggetti residenti in Abruzzo e Romania e operante nel settore della ricostruzione post-sisma.

L'indagine transnazionale, denominata 'Social dumping' e coordinata dalla procura distrettuale presso il tribunale dell'Aquila, ha messo in luce una presunta organizzazione dedita al reclutamento e allo sfruttamento di flussi di manodopera provenienti dall'est Europa.

Per la prima volta a L'Aquila, nello scenario della sua difficile e sofferta ripresa, è stato contestato anche il reato di autoriciclaggio, recentemente introdotto.

LE ORDINANZE DI CUSTODIA CAUTELARE - Le persone raggiunte dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere sono: Antonio D'Errico detto 'Tonino' 59 anni, residente a Tortoreto (Teramo); Nicolae Otescu detto 'Nico' di 46 anni, cittadino romeno residente a Lugoj (Romania); Francesco Salvatore di 56 anni di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), residente a Sulmona; Panfilo Di Meo di 52 anni di Sulmona; Giancarlo Di Bartolomeo di 49 anni di Teramo; Massimo Di Donato di 63 anni, anche lui di Teramo.

Tra le diverse misure cautelari adottate, il Gip del Tribunale dell'Aquila, Guendalina Buccella, ha disposto per gli ultimi quattro la detenzione per soli due mesi. Successivamente, la misura prevede i domiciliari con l'applicazione del braccialetto elettronico. Infine disposto anche il divieto di esercitare l'attività imprenditoriale.

Le persone arrestate sono accusate a vario titolo di essersi associate per commettere una serie indeterminata di reati fiscali, di autoriciclaggio, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

In particolare, secondo gli inquirenti, Otescu e D'Errico riuscivano a procurare agli amministratori delle ditte impegnate nella ricostruzione post terremoto dell'Aquila, (oggetto dell'inchiesta della Dda dell'Aquila) manodopera romena a basso costo «giustificando formalmente - si legge nell'ordinanza - la presenza, con il ricorso del contratto di distaccamento in violazione di legge. Tutto ciò - si legge sempre nell'ordinanza di custodia cautelare a firma del Gip del Tribunale dell'Aquila - per procurare ai titolari delle ditte edili documenti fiscali utilizzati sia ai fini dell'evasione delle imposte e per la costituzione di fondi 'neri' da reimpiegare in attività economiche e speculative».

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LE INDAGINI - Secondo le complesse indagini portate avanti dal colonnello Giuseppe Donnarumma, comandante provinciale dei carabinieri dell'Aquila, Otescu si occupava del reclutamento basso costo in Romania da inviare in Italia; di fungere da principale referente del presunto sodalizio criminale per il pagamento della retribuzione (50 euro a giornata) e per le questioni relative alla sistemazione alloggiativa degli stessi, della creazione di ditte ad hoc costituite con il solo scopo di celare la complessa attività di intermediazione illecita di manodopera, di emettere fatture 'a saldo' per operazioni ritenute inesistenti allo scopo di consentire alle ditte di evadere le imposte e giustificare l'uscita di somme nella contabilità delle ditte italiane poi restituite loro 'in nero'; di fungere da corriere nei viaggi in Romania per la restituzione degli importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti.

D'Errico, sempre secondo l'accusa, avrebbe coadiuvato Otescu nella gestione della parte contabile, intrattenendo rapporti con le ditte per il conteggio delle giornate lavorative, per l'emissione delle fatture ed effettuando viaggi in Romania per la restituzione 'in nero' delle somme.

Di Donato, Di Bartolomeo, Di Meo e Salvatore, quale appaltatori di ingente importo per la ricostruzione post sisma, si occupavano, secondo gli investigatori, di garantire una domanda di manodopera costante nel tempo, per ottenere vantaggi sotto forma di emissione di fatture per operazioni inesistenti, per giustificare l'uscita contabile di somme, poi rientrate 'in nero' da reinvestire in attività economiche e speculative.

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«OPERAI MINACCIATI E INTIMIDITI» - Sempre le indagini coordinate dai carabinieri del Comando provinciale dell'Aquila, diretti dal colonnello Giuseppe Donnarumma, hanno portato a galla il particolare di come gli operai venissero sfruttati, sotto la costante minaccia di essere licenziati o comunque non essere chiamati a lavorare a scopo punitivo per una settimana. Operai minacciati, intimiditi, a causa del loro stato di bisogno lavorativo.

Secondo quanto accertato, tutto ciò sarebbe avvenuto attraverso la sistematica retribuzione in modo palesemente difforme ai contratti collettivi nazionali, «considerando la sproporzione tra quantità e qualità del lavoro prestato e retribuzione percepita», con sistematica retribuzione al di sotto dei tetti salariali di categoria per la corresponsione ad un salario giornaliero di 50 euro a fronte di una giornata lavorativa di 10 ore (al posto delle 8), salario che Otescu, secondo gli investigatori, corrispondeva agli operai pur ricevendo una somma di 110 euro per ciascuna giornata lavorativa del singolo operaio dalle ditte che parimenti sfruttavano l'attività lavorativa sostenendo un costo del lavoro pari a circa il 50 per cento di quello che avrebbero dovuto sostenere in caso di utilizzo di un lavoratore regolarmente assunto.

Ulteriori illegalità sono state riscontrate, oltre che nella violazione dell'orario di lavoro, nel riposo settimanale, nella malattia, nelle ferie nella mancata retribuzione del lavoro straordinario, dei giorni non lavorativi per festività, ferie, malattia, condizioni meteorologiche avverse, con «necessità da parte degli operai di recarsi sul luogo di lavoro anche in condizioni di salute precarie».

Sotto la lente di ingrandimento anche la situazione alloggiativa degli operai «particolarmente degradanti» sistemati presso appartamenti dove venivano stipati fino a nove persone e la mancata regolarizzazione della posizione sanitaria con la conseguente impossibilità per gli stessi operai di fruire dell'assistenza sanitaria, tutto ciò nella piena consapevolezza da parte degli arrestati, dello stato di bisogno degli operai.

LAVORI PER 22,5 MILIONI - Alle ditte i cui amministratori sono finiti oggi in carcere erano stati affidati appalti edili relativi all'attività di ricostruzione post-sisma della città dell'Aquila e di altri Comuni del cratere per circa 22 milioni e mezzo di euro.

In particolare la manodopera di nazionalità romena a basso costo secondo gli investigatori veniva impiegata a L'Aquila nell'aggregato di via Verdi e su corso Vittorio Emanuele (importo lavori 15 milioni e 272 mila euro), in quello su via Bominaco (4 milioni e 135 mila euro) entrambi appaltati al consorzio Sulter Scarl amministrato da Francesco Salvatore e Massimo Di Donato.

Gli operai dell'est Europa, inoltre, sono stati trovati al lavoro in un cantiere del Comune di Vittorito (1 milione 593 mila euro) e in uno di Pratola Peligna (1 milione 486 mila euro), entrambi appaltati all'impresa "Salvatore & Di Meo".

Le indagini condotte dai carabinieri sono andate avanti per circa un anno e mezzo e comunque fino a pochi giorni fa. A tutti gli arrestati viene contestata l'associazione per delinquerde poichè, si legge in un passo dell'ordinanza di custodia cautelare, «si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati fiscali e di autoriciclaggio nonchè di intermediazione illecita e sfruttamnto del lavoro». «In particolare gli indagati (nell'inchiesta non ce ne sono atri, almeno per il momento, ndr) avviavano una complessa organizzazione nella quale Nicolae Otescu e Antonio D'Errico attraverso le ditte romene da loro gestite, la Ni-To Costruetii Civili srl e To-Ni Roit Edilizia srl, procuravano a Francesco Salvatore, Panfilo Di Meo, Massimo Di Donato e Giancarlo Di Bartolomeo e alle ditte gestite, anche di fatto, dai medesimi Meg srl, Salvatore & Di Marco srl, Salvatore & Di Marco e C Snc ed al consorzio Sulter Scarl, manodopera a basso costo di nazionalità romena», «giustificandone formalmente la presenza mediante ricorso al contratto di distacco comunitario, applicato in totale carenza dei suoi presupposti, escamotage posto in essere - spiega il gip - al fine di celare sia la mera intermediazione di manodopera che lo sfruttamento dei lavoratori».

Con questo 'modus operandi', secondo gli investigatori, i titolari delle ditte italiane venivano in possesso di «documenti fiscali utilizzati sia ai fini dell'evasione delle imposte che per la costituzione di fondi neri da reimpiegare in attività economiche e speculative, fondi realizzati con la provvista costituente parte dell'utile della complessa attività illecita».

Stando sempre a quanto verificato dagli investigatori prima e accertato dagli inquirenti poi, Otescu e D'Errico «provvedevano al graduale spostamento delle somme accreditate sui conti romeni delle ditte romene, al prelevamento delle stesse in Romania e alla loro restituzione 'in nero', nel territorio italiano», agli altri quattro indagati, «detratta una percentuale per la commissione pari all'incirca al 10% dell'importo restituito».

In buona sostanza, secondo gli investigatori, i soldi che riuscivano a ricavare erano parte del frutto della differenza tra i reali salari e quelli che invece avrebbero dovuto realmente percepire gli operai romeni. Sia D'Errico che Otescu nel corso di un controllo della Finanza (il primo avvenuto il 28 febbraio 2015, l'altro il primo maggio scorso) erano stati trovati in possesso di una consistente somma di denaro in contanti, in totale circa 36 mila euro. Entrambi stavano tornando in Abruzzo dalla Romania.

RICERCATO IMPRENDITORE ROMENO - L'imprenditore romeno Nicolae Otescu, residente a Lugoj (Romania), risulta al momento ancora latitante ed è per questo ricercato dalle forze dell'ordine.

L'operazione "Social dumping" è la seconda compiuta dalla Dda aquilana in quattro giorni, dopo quella denominata "Redde rationem" dello scorso lunedì, culminata con cinque ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari e un obbligo di dimora e firma. In quest'ultima inchiesta, relativa a presunte tangenti nei puntellamenti di tre cantieri aquilani, sono coinvolti un ex politico, due funzionari comunali e alcuni imprenditori. Nell'operazione "Redde rationem" sono indagate altre 13 persone destinatarie di altrettanti avvisi di garanzia. Tra i reati contestati, corruzione, estorsione, truffa, abuso d'ufficio e reati fiscali.

PROCURATORE: TRA LE PRIME INDAGINI IN MATERIA - «Si tratta di una delle prime indagini in Italia in materia di sfruttamento dei lavoratori e di autoriciclaggio, norme introdotte di recente nel nostro sistema penale, che ha richiesto un impegno notevole e per questo ringrazio i carabinieri», ha sottolineato il procuratore distrettuale antimafia dell'Aquila, Fausto Cardella, nel corso dell'incontro con la stampa per illustrare i dettagli dell'operazione "Social dumping" che ha portato all'emissione di sei misure cautelari in carcere.

«L'indagine è nata da una denuncia della Cgil ma non è casuale, si inserisce in un progetto di tutela della legalità nei fatti attinenti alla ricostruzione post-sisma - ha aggiunto il procuratore - La Procura ha svolto numerose indagini in materia, da 'Dirty job' a 'Betrayal', da quella sui Map ai balconi degli alloggi antisismici del progetto C.a.s.e.».

Secondo Cardella, «in questo settore stiamo profondendo uno sforzo che è anche maggiore considerando l'esiguità dei magistrati, del personale amministrativo, su cui grava l'incombenza degli accertamenti in questi casi. Lavorano sempre più faticosamente perché sono sempre meno».

PM: GLI INDAGATI ANDAVANO FERMATI - «La presenza di imprese che operano in una tale situazione di illegalità nei cantieri della ricostruzione opera una distorsione forte del mercato. Gli indagati dicono in una registrazione: '[i]se continua così andremo avanti fino al 2016[/i]', e per questo andavano fermati», ha detto il pm Simonetta Ciccarelli, titolare dell'inchiesta "Social dumping" unitamente alla collega Antonietta Picardi e al procuratore distrettuale antimafia Fausto Cardella.

«Abbiamo messo in campo una serie di competenze e capacità professionali intersecate tra di loro - ha aggiunto la dottoressa Picardi - come quella dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro. Solo grazie a loro si è riusciti a capire quale era il meccanismo del 'distacco comunitario' che veniva utilizzato».

L'indagine, ha rivelato lo stesso pm, «è stata lunga e complessa». Ci sono stati vari tipi di intercettazioni, telefoniche, ambientali in vari posti, traffico e-mail e fax, «che ci hanno permesso di capire il momento giusto per intervenire».

Ciccarelli, che ha ringraziato il sindacato, ha spiegato che i reati contestati agli indagati sono il reclutamento e sfruttamento della manodopera e l'associazione per delinquere. «Ci sono ulteriori ipotesi di reati fiscali e autoriciclaggio sulle quali non è stata emessa la misura cautelare ma il gip - ha aggiunto il magistrato - ne ha affermato la sussistenza. Il distacco comunitario è un istituto lecito per spostare lavoratori di una ditta europea in un altro Stato - ha spiegato ancora Ciccarelli - Nel caso specifico, lavoratori romeni venivano distaccati in Italia, sono 20 quelli coinvolti, 2 le ditte italiane più un consorzio mentre la ditta romena ha cambiato denominazione».

DONNARUMMA: «FERMARE SFRUTTAMENTO LAVORATORI E' MOTIVO ORGOGLIO» - «La ricostruzione post-sisma deve essere ispirata anche a valori etici». Lo ha detto il comandante provinciale dei carabinieri dell'Aquila, il colonnello Giuseppe Donnarumma, intervenuto all'incontro con la stampa nel quale sono stati illustrati alcuni particolari dell'operazione 'Social dumping' le cui indagini sono state condotte dai militari dell'Arma.

«Alcuni passaggi - ha aggiunto l'ufficiale - connotano il grado di cinismo dei soggetti interessati nel considerare le loro condotte foriere di arricchimento».

Il comandante ha quindi sottolineato «con gioia la capacità di essere stati capaci di fermarli». Donnarumma ha quindi evidenziato che «quella emessa dal gip Guendalina Buccella è una misura molto forte perché contesta anche l'aspetto associativo agli indagati. Senza lavoratori la città non potrà essere ricostruita ma noi dobbiamo guardare allo sfruttamento e fermarlo è motivo di orgoglio». Il colonnello ha infine sottolineato come fosse ricco il giro di affari evidenziando che la manodopera irregolare era impiegata in cantieri anche importanti, come quello di un aggregato corposo dell'Aquila sito su via Verdi e su corso Vittorio Emanuele i cui lavori erano stati appaltati al consorzio 'Sulter Scarl' per 15 milioni e 272 mila euro.

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