
«La proposta del presidente del Consiglio Matteo Renzi di passare dallo ius sanguinis (è cittadino solo chi nasce da italiani) a uno ius soli temperato (cittadinanza per i bambini che nascono in Italia da genitori immigrati a patto però che concludano un ciclo scolastico) è un atto di civiltà non più rinviabile per la delicatezza e la complessità del fenomeno delle seconde generazioni». A sottolinearlo, attraverso una nota, è il consigliere aggiunto al Comune dell’Aquila Gamal Bouchaib.
«Ho scritto al mio presidente del Consiglio Matteo Renzi – aggiunge Gamal – per il dolore e l’impotenza nei confronti di un sogno spezzato a un ragazzo albanese nato e cresciuto in Italia, al quale è stato negato il visto per andare a un corso di inglese a Londra con i suoi coetanei perché non è cittadino italiano. Un test di italianità al quale sono sottoposti i nostri figli, come se respirassero un’altra aria o se mangiassero altri spaghetti, o che si innamorassero di donne extraterrestri. Un test che spesso, come nella storia di questo ragazzo, fa più che altro allontanare questi prossimi cittadini dal senso identitario di un paese».
IL TESTO DELLA LETTERA
[i]All’attenzione del mio Presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
A volte è difficile tradurre con le parole ciò che solo il cuore sa dire, ma, per una volta, nell’esercizio del mio mandato elettorale come consigliere aggiunto al Comune dell’Aquila, cercherò di parlarle con in mano una storia immigratoria e gli occhi della mia città, martoriata dal sisma del 2009, che mi hanno accolto come un bambino assettato di caldo e tenerezza.
Le scrivo per raccontarle una storia, schizzi di un vissuto che può essere di migliaia di giovani nati e cresciuti nel nostro paese, amando come me l’aria secca e pura dell’Aquila e i vicoli del suo centro storico e tuffandosi tra le sue tradizioni, dalla festa di Sant’Angese e delle sue malelingue alla Perdonanza Celestiniana e i suoi segreti millenari.
Tempo fa ho visto le lacrime di un giovane ragazzo di origine albanese nato e cresciuto all’Aquila, studente di una scuola superiore nella nostra provincia, al quale è stato negato il visto per andare in Inghilterra con i suoi amici di classe per un corso di inglese. Le confesso, signor presidente del Consiglio, che alla sua domanda del perché è considerato diverso dai suoi amici che conosce dalla nascita e con i quali giocava nel cortile di casa non ho trovato nessuna risposta che potesse asciugare le sue lacrime, oltre il mio sguardo acceso di protesta e la mia impotenza di fronte ad una distinzione di fondo poco sensata e ragionevole, considerato che, nel nostro Paese, non basta mai dimostrare la propria italianità, come se fosse una fanciulla che ami e corteggi in mille modi e maniere, cerchi di conquistarla palmo a palmo, ma che non ti offre che giorni grigi dall’espressione assente.
Avrei voluto, signor presidente del Consiglio, la sua presenza per aiutarmi a far capire a questo ragazzo che l’Italia è anche sua e che lei è il suo presidente del Consiglio. In momenti come questi e altri simili mi scivola tra le dita un pensiero: è come se le seconde generazioni debbano sempre in qualche modo giustificare la loro identità italiana, che non è data per certa.
Tornando alla storia che mi ha spinto a prendere la penna in mano e a scriverLe, cercando di non cadere inconsapevolmente nella trappola della ripetitività del ius soli temperato o culturae, della solita arringa politica che ha quasi appiattito tutta la dialettica sul tema, tant’è vero che il più delle volte ci accostiamo a tali argomenti con una spasmodica sacralità in chiave sociologica o in termini politichese, Le chiedo di guardare questa storia con l’occhio e la sensibilità di un padre. So che lei avrà tutte le risposte giuste. Sono fiducioso».
Gamal Bouchaib[/i]