Politica

Consiglio regionale, un minuto di silenzio

Un minuto di silenzio e raccoglimento e diversi interventi per ricordare la tragedia delle Foibe: si è aperta così, dopo l'Inno di Mameli, la seduta del Consiglio regionale d'Abruzzo, a Pescara, in occasione del Giorno del Ricordo, che ricorre il 10 febbraio.

I lavori sono stati preceduti dalla seduta del Question Time. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Di Pangrazio, ha parlato nel suo lungo discorso di «uno dei più drammatici episodi in cui è stata coinvolta l'Italia con il suo popolo. Foiba - ha affermato - è un vocabolo derivato dal latino che significa fossa, abisso, crepa. Fino a pochi anni fa il termine si trovava solo nei testi di geologia. Si rivelarono invece luoghi ideali per uccidere e nascondere i cadaveri. Nessuno poteva immaginare che venissero usate per gli atti più atroci che l'essere umano poteva compiere».

Ricordando gli oltre 5.600 morti nelle foibe e le oltre 3.200 vittime nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi, Di Pangrazio ha detto che «come Consiglio regionale individueremo per il prossimo anno un'iniziativa da sostenere; lavoreremo insieme per la migliore proposta».

Sul tema, in apertura dei lavori, hanno preso la parola per la maggioranza il consigliere Maurizio Di Nicola e per l'opposizione i consiglieri Lorenzo Sospiri (Fi) e Pietro Smargiassi (M5s).

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Il presidente della Giunta regionale, Luciano D'Alfonso, ha detto: «Dobbiamo evitare che la storia venga reincontrata, perché c'è già stata», auspicando che si riesca a «inventare qualcosa che faccia sì che mai in Abruzzo si confonda il termine Foiba con una marca di caffè».

Il presidente della Giunta regionale, Luciano D'Alfonso, ha testimoniato, in merito, che «lo spirito del ricordo non è certo quello di adempiere ad una sterile liturgia laica ma fare in modo che si irrobustisca l'intelaiatura della democrazia». D'Alfonso ha proseguito sostenendo che «la pulizia etnica va in onda ogniqualvolta si generi quel particolare atteggiamento degli uomini, singoli o in forma associata, che sfocia nell'assolutismo.

E l'assolutismo non è altro che la negazione delle ragioni degli altri - ha sottolineato D'Alfonso - ed invece bisogna sempre trovare spazio alle ragioni degli altri. Sull'amara vicenda delle Foibe, che è stato un atroce fatto di sangue, - ha concluso - cerchiamo allora di individuare un minimo comune denominatore che non può non essere la cultura della vita».

Il testo dell’intervento del Presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio, pronunciato in Aula, in occasione del “Giorno del Ricordo” delle vittime delle Foibe.

«[i]Appena 15 giorni fa ci siamo fermati a riflettere sulla SHOAH – uno dei genocidi che ha contrassegnato il secolo scorso. Seppure con numeri più contenuti (ma i numeri sono sempre persone !) anche la gente d’Italia è stata toccata dall’abisso profondo che l’uomo sa fabbricare per i suoi simili, creando civiltà nemiche, ostentati disprezzi, capri espiatori generati dai peggiori istinti che abitano l’essere umano. Il tema richiamato da questa giornata è stato inserito all’ordine del giorno della seduta del Consiglio regionale in ossequio alla legge n. 92 del 2004, con la quale la Repubblica italiana ha riconosciuto il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, e della più complessa vicenda del confine orientale. Foibe: è un vocabolo derivato dal latino “fòvea”, che significa fossa, abisso, crepa profonda del terreno».

«Fino a pochi anni fa il termine si trovava solo nei testi di geologia: sono voragini sotterranee che si formano nelle zone calcaree ad opera dell’erosione dell’acqua. Si rivelarono luoghi ideali per uccidere e nascondere i cadaveri. Tutto comincia nei primi anni della guerra, quando i tedeschi e i fascisti, aiutati dagli ustascia croati, iniziarono le persecuzioni contro la popolazione locale, creando i primi infoibati. Dopo l’8 settembre, le zone controllate dagli italiani finirono in balìa dei partigiani locali jugoslavi, e cominciò la resa dei conti. Nell’autunno del ’43 e durante la primavera del ’45, le foibe rappresentarono il simbolo di una tragedia spaventosa che colpì la popolazione giuliano-dalmata, quando alcune migliaia di persone vennero uccise dai partigiani di Tito e i loro corpi furono gettati in parte in quelle voragini, in parte nelle fosse comuni o in fondo all’Adriatico: molti non tornarono dai vari luoghi di prigionia. Anni di eccidi e di stragi sui quali è sceso un lacerante silenzio, sino alla fine del secolo scorso, quando furono raccolti e resi pubblici i numeri delle vittime: oltre 5.600 quelle delle foibe (3.500 nella sola Basavizza); più di 3.200 i morti nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi. Una drammatica serie di eventi taciuti e rimossi, che una legge dello Stato ha voluto riportare alla luce e al ricordo. La data del 10 febbraio è stata scelta in riferimento al giorno in cui a Parigi, nel 1947, venne firmato il Trattato di pace in conseguenza del quale buona parte della Venezia Giulia fu ceduta alla Jugoslavia di Tito, sancendo così l’abbandono di città e paesi della sponda orientale dell’Adriatico, dove la presenza italiana era percentualmente maggioritaria. Sì è consumato uno dei più drammatici episodi in cui è stata coinvolta l’Italia con il suo popolo, nell’eterno conflitto tra Stato di diritto e Ragion di Stato, con l’interminabile miscuglio di verità storiche e verità da raccontare (o da occultare !), quelle che attengono al pensiero dominante, al potere forte, che non vogliono che le realtà si affermino, possano essere dette e giudicate. Le foibe sono una verità amara, una dolorosa realtà in cui la Ragione di Stato ha prevalso sullo Stato di diritto e sui diritti delle persone, dei cittadini, coinvolgendo in seguito circa 350.000 italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, costretti a un esodo durato due anni (dal ’45 al ’47): campi profughi e centri di accoglienza – alcuni dei quali rimasti attivi fino al 1970 – in un’assistenza temporanea che divenne un lungo calvario. E quelle terre di confine sono rimaste troppo a lungo luoghi di conflitto latente, luoghi di silenzio e di vergogna trattenuta … fino a un giorno significativo, a quel “concerto di riconciliazione” del 14 luglio 2010, tenutosi alla presenza dei tre Presidenti della Repubblica d’Italia, di Slovenia e di Croazia, diretto dal maestro Muti, con 360 giovani musicisti e coristi dei tre Paesi coinvolti. Fu eseguito il REQUIEM di Cherubini, “una musica innalzata nel cuore di Trieste” – come disse Muti – “per dare pace e riposo a tutti i morti, a chi ha sofferto e subìto tragedie e perdite fratricide"».

«Per tutto questo, credo sia indispensabile tenere vivo il ricordo – come stiamo facendo oggi – e tenere sempre in mente che lo Stato di diritto non è qualcosa di ovvio. La sua valenza esige un continuo risveglio delle coscienze: per l’Italia, per l’Abruzzo, oggi protesi verso un’Europa dei cittadini e dei diritti, non soltanto un’Europa dei mercati e delle ragioni di Stato».

«E dunque – come è stato già indicato per il giorno della memoria – come Consiglio regionale sapremo individuare per il prossimo anno un’iniziativa da sostenere come “Giorno del ricordo delle foibe”: potrebbe essere una mostra da far girare in Abruzzo; o la previsione di un viaggio per alcuni studenti alla foiba di Basavizza; oppure un incontro con famiglie di abruzzesi discendenti da esuli istriani … Lavoreremo insieme per la migliore proposta. Nel procedere a un minuto di raccoglimento, che l’occasione richiede, vorrei leggere – come simbolo di speranza sopra ogni violenza che si consuma nella storia di ieri e di oggi – il biglietto ritrovato nel lager di Ravensbruck, accanto al cadavere di un bambino. E’ una preghiera che esorta a ricordare e pertanto non sfigura in questo luogo istituzionale: “Signore, ricordati non solo degli uomini di buona volontà, ma anche di quelli di cattiva volontà. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto. Ricordati, invece, dei frutti che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire: la nostra fraternità, la lealtà, l’umiltà, il coraggio, la generosità, la grandezza di cuore che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito[/i]"».

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