I diversi punti di vista degli uomini nel tempo

30 dicembre 2014 | 14:37
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I diversi punti di vista degli uomini nel tempo

di Fulgo Graziosi

Basterebbe soffermarsi a meditare sulle considerazioni riportate nella vignetta a fianco per capire che il mondo e l’uomo non sono affatto cambiati. Sicuramente il mondo è stato manipolato e manomesso. L’uomo, invece, è divenuto un raffinato sofista, ingegnoso escogitatore di argomenti cavillosi. Interessanti e piuttosto raffinate le due considerazioni, alquanto attuali, di cui la prima definisce “[i]l’uomo misura di tutte le cose[/i]”, mentre la seconda, molto argutamente, attribuisce alla “[i]Giustizia il predominio del più forte[/i]”. Pensateci bene. È proprio così. L’uomo, infatti, è stato sempre il più grande manipolatore delle idee altrui, arrivando a condizionare e manipolare le menti dei propri simili.

Per renderci perfettamente conto della vicenda, cominciamo dall’anno zero, senza andare oltre. Nell’anno zero comparve in Medio Oriente una figura di riformatore sociale, a cui Renzi dei giorni nostri si può appena paragonare. Quell’uomo aveva messo con le spalle al muro la potenza dominante dei romani pagani, con la reale politica della non violenza, ripresa ultimamente da un altro riformista sociale: Gandhi. Le tesi sociali cristiane cominciarono a prendere corpo in maniera consistente, tanto che i Romani pensarono bene di eliminare dalla circolazione il povero Cristo. Scartarono l’idea di uno spregiudicato omicidio perché avrebbe potuto sollevare la reazione delle masse. Pensarono, invece, a mettere in piedi una specie di processo farsa, dopo aver addomesticato gran parte dei cittadini amministrati. Processo farsa perché, in realtà, un processo vero e proprio non c’è mai stato. Cristo fu dato in pasto ad una folla ben pilotata, incapace di esprimere qualsiasi equilibrato giudizio, tanto è vero, e qui sta la esatta lettura degli eventi, i cittadini furono messi di fronte ad una miserabile scelta: il povero Cristo o il miserabile delinquente Barabba? È un parallelismo insostenibile quello di mettere sullo stesso piano la valenza sociale di Cristo con i miseri reati, pubblicamente accertati, di Barabba. Si fece pendere l’ago della bilancia a favore di Barabba, mentre a Cristo venne riservato il pollice verso. Nelle due correnti di pensiero prevalse quella della corruzione e del plagio. Nel tempo, però, le tendenze si sono nettamente invertite e quella cristiana ha avuto una tangibile rivincita. Praticamente, volendo fare una equilibrata valutazione, la sentenza di appello ha rimesso le cose in ordine, collocandole nel giusto posto.

Adesso, facciamo un salto di circa due millenni e veniamo ai giorni nostri. Ultimamente sono stati celebrati in Abruzzo due complicati processi d’appello che hanno richiamato l’attenzione mondiale, tanta era l’importanza delle materie poste sui piatti della bilancia della giustizia locale e nazionale. Il processo alla “Commissione Grandi Rischi” e quello relativo alla più “Grande discarica europea di Bussi” fortemente inquinante. Bene, dove sono annidati i due diversi punti di vista?

Nella sentenza di assoluzione della Commissione Grandi Rischi le Istituzioni locali e regionali sono rimaste pressoché mute. Indifferenti. Completamente distanti dalle aspettative dei cittadini, specialmente di quelli fortemente danneggiati nei rapporti intimi personali. C’è stato solamente qualche larvato accenno di dissenso, privo di ogni consistenza tangibile. Nel secondo caso, invece, quello della inquinante discarica di Bussi, si è registrata una vibrante sollevata di scudi della Regione, che ha minacciato di percorrere tutte le vie possibili della giustizia nazionale e comunitaria. Perché mai una così eclatante differenza di vedute? Probabilmente perché la prima riguarda direttamente le vittime del terremoto e, perciò, di ex cittadini che non potranno più esercitare il diritto di voto. Mentre la seconda riguarda principalmente i viventi che, quindi, costituiscono un bel serbatoio di voti da curare con la massima attenzione. Non facciamo alcuna valutazione in merito al comportamento delle Istituzioni perché la riteniamo superflua e scontata. Basta fermarsi in qualsiasi bar, per la strada, o entrare in uno degli Uffici pubblici, per ascoltare le valutazioni dei cittadini in proposito.

Torniamo al processo della Commissione Grandi Rischi che ci riguarda più da vicino. I Giudici di primo grado del Tribunale aquilano hanno condannato indistintamente tutti i componenti della Commissione Grandi Rischi dopo attente e attinenti valutazioni dei fatti, così come si sono svolti e sulla scorta degli atti riscontrati attraverso le ricerche effettuate dall’Autorità Giudiziaria. Gli interessati ricorrono in appello. Portano, a discarico, valutazioni e argomentazioni che non si discostano di molto rispetto a quelle iniziali del processo di primo grado. Questa volta il giudizio spetta, ovviamente, ad altri giudici. L’occhio analizzatore è diverso. Non è più attento rispetto a quello dei colleghi che li hanno preceduti. I fatti vengono osservati da una finestra posta al piano superiore, da dove, forse, si scorgono in lontananza gli interessi dello Stato, chiamato all’esborso di sostanziosi indennizzi risarcitori in caso di conferma della sentenza di primo grado. La difesa degli imputati torna a sostenere con insistenza la tesi del processo alla scienza. Non si possono condannare degli scienziati, quando le forze e la temporalità degli eventi che hanno distrutto una città, causando ben oltre trecento morti, sono imprevedibili. Inoltre, qualche difensore ha voluto far presente ai giudici, con categorico monito, che avrebbero potuto processare uno studioso al quale, fra qualche anno, sarebbe stato assegnato il Premio Nobel. Un vero e proprio presagio dell’oracolo di Delfi. Lo stesso legale, per scagionare il proprio assistito, ha aggiunto che lo scienziato era presente ai lavori della Commissione Grandi Rischi, ma non ha espresso alcuna valutazione e votazione. Infatti, anche durante la conferenza stampa era distrattamente seduto in disparte, tra il pubblico, senza pronunciare parola. Verrebbe spontaneo chiedersi se, almeno quando sono stato liquidati i compensi, sia stato presente al momento dell’incasso dei medesimi. Siamo dinanzi a due articolati punti di vista differenti, sebbene la materia, gli atti e i riscontri effettuati siano esattamente i medesimi.

Altra differenza di vedute. In prima udienza vengono condannati tutti i componenti della Commissione. In appello vengono assolti tutti, tranne uno, chiamato a recitare il ruolo del capro espiatorio e non appare giusto.

Ora passiamo agli effetti che i giudizi espressi nelle sentenze di appello possono determinare praticamente nell’ambito sociale, in quello politico e nell’animo del comune cittadino, chiarendo, una volta per sempre, che gli aquilani non hanno mai inteso mettere sotto processo la scienza, bensì le azioni e i comportamenti degli uomini.

Prendiamo per buone le tesi del difensore del richiamato scienziato. A queste aggiungiamo quelle relative agli altri componenti della Commissione Grandi Rischi, imperniate sulla non prevedibilità degli eventi catastrofici di qualsiasi natura e portata. A questo punto nella pubblica opinione sorge spontanea una semplice considerazione: se questi scienziati non sono in grado di prevedere il puro nulla, così come hanno affermato i difensori in sede di dibattito, come si potrebbe giustificare la presenza, il lavoro e il costo di una Commissione di questo tipo? Come si può vedere vi sono ancora molti e diversi punti di vista nel giudicare fatti ed eventi che, pur essendo identici, subiscono giudizi e valutazioni diversi e il più delle volte antitetici e incomprensibili. L’unico fatto certo è che il recente giudizio ha lasciato l’amaro in bocca agli aquilani, oltretutto abbandonati ad un destino che non meritano certamente, soprattutto per l’immane disastro che li ha colpiti negli affetti più intimi e nelle sostanze che, faticosamente, hanno saputo mettere insieme per la realizzazione di preziosi patrimoni materiali, morali e sociali.

Non vogliamo condannare e rimproverare nessuno, ma consentiteci di riportare a piena voce il giudizio di tutti i cittadini aquilani: ”non è giusto”.