Attualità

La luna sopra gli eroi di Santa Croce

[i]Appunti di un viaggio.

Tre racconti per conoscere e riflettere insieme sulle origini, le tradizioni, i colori e la gente della nostra terra.[/i]

Vincenzo Battista ci conduce in un viaggio sublime che dalle periferie dimenticate della città dell’Aquila ci porterà in tre appuntamenti ai luoghi di un altro Gran Sasso.

Appunti di un viaggio.

Tre racconti per conoscere e riflettere insieme sulle origini, le tradizioni, i colori e la gente della nostra terra. Vincenzo Battista, una delle firme più autorevoli e imponenti del Capoluogo, ha composto per la settimana della Perdonanza un trittico di enorme pregio per deliziarci con le armonie delle sue parole, con le emozioni delle sue descrizioni, con la concretezza vivida delle immagini che crea descrivendo il nostro mondo, la nostra storia e la nostra gente.

Non possiamo che lodare ed apprezzare l’opera di Vincenzo e per ringraziarlo di quanto ci ha dato l’opportunità di scoprire e ‘gustare’ della nostra storia.

[i]Roberta e la redazione del Capoluogo[/i]

La luna sopra gli eroi di Santa Croce (Prima puntata)

di Vincenzo Battista

Più tardi, ma molto più tardi, la brezza avrebbe fiaccato il fuoco prima, tra le torri, i blocchi

monoliti, i palazzi, e dopo, ridotto ad enorme braciere evocativo nello slargo di terra

battuta: un pantheon dell’immaginario collettivo, a ridosso delle mura medievali, e dentro

una sorta di altare penitenziale, logos ancestrale delle alchimie, fabbrica dei desideri, delle

“prove ” nel saltarlo, delle invocate divinità magiche, il fuoco sarebbe rimasto così e al suo

fianco, custode , la notte, e il bosco di palazzi, a sorvegliare, fino alle prime luci dell’alba.

Santa Croce, tra il nastro della 17 bis e la forra, la cinta muraria e porta Barete , allora

sconosciuta (si passava sui camminamenti con archi e frecce) , con le sue sorgenti dei “riti

ludici” a caccia anche di uccelli che si esibiranno sulle punte delle canne, oggi seppellite,

cementificate, circondate un tempo da una fitta vegetazione, quasi un piccolo eden ” relitto”

di una antichità fondativa della città di Aquila che ci continua a scivolare addosso, e delle

sue acque ma il quartiere, e soprattutto il falò, allestito dopo molte settimane di lavoro

comunque tornava puntuale, ogni anno: per stupire nella diversità, meravigliare con i suoi

bagliori e proiettare, liberare i sogni, in quella imperscrutabile cosmologia dei ragazzi.

Il totem

di legna prendeva forma prima dell’accensione, nel quartiere nato di prepotenza sulla cinta

muraria medioevale, come le tessere di un Lego: foresta conglomerata di tante tane, varchi,

luoghi misteriosi e sconosciuti, temuti e segreti pur di stare in quel tempo parallelo, vissuto

però da tutti noi nel desiderio di non uscire dalla fiaba del quartiere incantato…E non bastava

nemmeno” l’evento” per rimuovere la “prova”: in due si scontrarono al centro del braciere,

caddero, leggere ustioni, dissero al pronto soccorso dell’Aquila dove trovarono lì il loro

lavacro, ma la leggenda, questa, corse, superò i confini della contea di Santa Croce,

elevando i due eroi al rango di giovani sacerdoti officianti il culto primitivo, ma ragazzi, a cui

vennero tributati gli onori sul campo dai Signori del fuoco delle contee di una Valle Pretara ,

San Sisto e Santa Barbara.

E il racconto continua. Il bit emesso, costante e concreto é lì , da

qualche parte, lancia il suo segnale, a sequenze ritmiche, in questa periferia-schermo di

” 2001 Odissea nello spazio”, che si “deve” raggiungere: Santa Croce, oltre il tempo di questi

anni trascorsi, oltre ogni cosa é la memoria attrattiva, insistente, che forse vorremmo

scaraventare lontano per girare pagina, ma non per i tanti che tornano, discreti, “anime”

incredibilmente chine e silenziose senza cedimenti, cercano ancora, nascoste e silenziose tra

le cose a terra, tra le porte divelte, asportate, tra gli oggetti rubati e poi scaraventati, la

memoria attrattiva, un flusso, inarrestabile, di materia sensitiva che al suo interno non cerca

soluzioni, ma forse si ciba di una sua radice antropologica: miscele di sguardi, il tempo

come un nastro, e attese, riflessioni che non sapremo mai, stati d’animo, ricordi lontani e

soprattutto il tornare, il “viaggio” alla ricerca del bit: che nuovo scenario, che “spettacolo”;

dove cercare le parole per raccontarlo, le espressioni per rendere tutto questo traducibile,

tra i rumori costanti e continui della 17 bis e il silenzio brusco, rapido, avvolgente nei portoni

dei condomini, dove ho persino ritrovato le mie impronte lasciate sullo strato della polvere

molti anni fa, quasi fossero quelle immutate per l’eternità dello sbarco alla luna, alzatasi

ora, bianca come schiuma, sbalorditiva nel suo divenire, nel suo pulsare, fino quasi a lambire

la collina di Valle Pretara.

Di grandezza esagerata, persino irriverente, scivola, sola e piena,

su Santa Croce e le persone che sono andate via, non solo corpo celeste ma premonitrice e

consolatrice dei mali, la luna si proietterà sempre di più, entrando nelle case, allungando le

ombre dei palazzi, della foresta, dei templi, dei riti e delle braccia alzate, quasi a volerla

toccare con le mani, la luna…