Attualità

I simboli e le attese della città sepolcro

di Vincenzo Battista

Le metafore per la comunità cristiana si riuniscono, oggi, nella divenuta città sepolcro, silente, avvolta nell’oscurità, unico esempio nel mondo occidentale che non ha eguali. Le metafore si riuniscono, come tante ombre allungate, in una processione. Sì, si riuniscono le metafore, nella città del silenzio degli innocenti, si avvicinano, si accostano, quasi a toccare il simulacro del Cristo Morto e tante altre scene portate dai penitenzieri. Si identificano, cercano, e nella processione del Venerdì Santo diventano immagine, “icone”: il martirio, la derisione, la condanna, il tradimento, i volti, la Passione, la Via Crucis e le tante madri addolorate dietro il corteo. Le metafore, per ricordare e per cercare di andare avanti.

{{*ExtraImg_32009_ArtImgRight_300x413_}}L’editto del 10 aprile 1754, emanato dal vescovo Lodovico Sabatini, fu appeso alla porta della cattedrale di San Massimo come atto inconsueto ma supremo della Chiesa, perché tutti potessero vedere e piegarsi al volere della Curia, spazzare via le discussioni, le polemiche infinite tra le molte confraternite sul diritto di precedenza nella Processione dei Misteri: “La Samaritana; Lazzaro resuscitato; quando la Madonna si licenziò; la cena con gli apostoli; la lavanda dei piedi; l’orazione nell’orto; quando Giuda tradì Cristo; Cristo nella colonna; la coronazione di spine; l’Ecce Uomo; le tre croci con li tre Monti; quando portò la croce al monte Calvario; Cristo crocifisso con li due ladroni; La Pietà; quando fu seppellito; la Madonna sola”.

“Dipinti o figuranti” che fossero, ma non “vivi”, i simboli della Passione erano rappresentati iconograficamente su stoffe pregiate, gonfaloni, scortati dai confratelli con le loro insegne religiose, lumi, torce e cere, nello scenario di una città dolente, Aquila, penitente, piegata sulla memoria dei molti lutti, con i segni tangibili del terremoto del 1703, il disastro abbattutosi sulle genti aquilane, ancora presente nella processione, che sottolinea così il suo ruolo taumaturgico, prodigioso, penitenziale, nel dolore della sfilata...

{{*ExtraImg_32007_ArtImgLeft_300x413_}}Tutto aveva inizio alle 24 (nel XVIII secolo si contavano le 24 ore a partire dal tramonto del sole, dopo l’Avemaria, annunciata con il suono delle campane), ma con “[i]umiltà, modestia e devozione[/i]” intimava il vescovo, poiché egli doveva procedere con la pena della scomunica nei casi più gravi di intolleranza nella città, o a chi turbava la processione. Non si potevano portare armi o “[i]suoni[/i]” dietro i Misteri; non si poteva dialogare, ma solo gli uomini delle confraternite dovevano “[i]osservare[/i]” il Mistero a loro assegnato, disporsi intorno al simbolo e pregare, uscire dalla chiesa, quando, poco prima delle 20, “[i]ad un’ora di notte[/i]”, le ultime compagnie chiudevano i battenti del grande portale di San Massimo, così come voleva l’editto, mentre la processione si faceva strada, scivolava, silenziosa, illuminata solo dal chiarore dei riverberi delle torce da “[i]San Massimo a San Agostino[/i] - è scritto sull’itinerario della processione – [i]per la strada diritta o sia del Corso, da Piazza di Palazzo a San Pietro Coppito, a San Domenico, calando a basso da San Pietro di Sassa, a Santa Chiara Povera, Santa Caterina Martire, a San Massimo[/i]".

Cardo e decumano della città aspettano; la città “mappata”, teatro del dramma del terremoto, tagliata in due da una grande croce urbanistica protetta dalle mura, aspetta. Intanto nelle campagne le case non vengono pulite; le tovaglie e gli oggetti sopra i tavoli sono immobili: è digiuno; l’uscio resterà aperto, tutto è fermo, “[i]come l’aria[/i]”, racconta ancora oggi la tradizione popolare, espugnata dal lutto e dal silenzio che ha legato persino le campane.

{{*ExtraImg_32010_ArtImgRight_300x251_}}Dopo 258 anni, dal sagrato della chiesa, ma è quello di San Bernardino, i simulacri della Passione e della narrazione iconografica, portati a spalla, scenderanno per incontrare la croce, lambirla e attraversarla. Per una manciata di ore ogni anno, dal 1954, le effigie, reinterpretate, sfileranno e si potranno vedere, sempre “[i]ad un’ora di notte[/i]” in questo Venerdì Santo, in una straordinaria quanto irripetibile Bauhaus tutta aquilana: arte e artigianato artistico che si fondono. Remo Brindisi, Giò Pomodoro gli artisti e le cinque punte dei maestri artigiani (tessuto; legno; dorature e tarsie; ferro e rame; ceramica e decorazione), stella luminosa, un tempo, degli antichi “[i]Collegi di arti e professioni[/i]”, tradizione della bottega aquilana che ha realizzato i simulacri, appunto, dei “[i]Quindici Misteri[/i]”, che, portati e sorretti dalle confraternite, restituiscono alla città della Passione, l’incanto, la meraviglia delle forme e delle tecniche preziose, che si celano dietro l’imbrunire in una atmosfera quasi metafisica, su una città invisibile, rivelata.

[i]Le fotografie d’epoca sono estratte dal fascicolo pubblicato dai Vigili del Fuoco, Comando provinciale L’Aquila, anno 1985.[/i]

[i]Articolo pubblicato il 4 aprile 2012 sul blog di Vincenzo Battista Viaggio&Viaggi.[/i]

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