Attualità

Diario di bordo di due studentesse di Anatomia

di Gioia Chiostri

Un origami dal Giappone. Di solito quando si è protagonisti di un’esperienza simile, atta a sollevare la coscienza e l’intelligenza, ciò che resta nello spirito è un breve ricordo, una specie di flash immortalato nell’anima. Sono tornate il primo di settembre in Italia, le due studentesse Sara Cicchinelli, marsicana, e Laura Cirelli, aquilana doc, partite per il Giappone, vincitrici di alcune borse di studio offerte dall’università degli studi dell’Aquila, settore: Medicina e Chirurgia.

Sara: «Un origami dal Giappone? Sicuramente non dimenticherò mai il mio primo giorno in sala dissettoria. Ho lasciato l’Italia con il dubbio di non essere forse davvero capace di andare in un Paese così lontano per svolgere un’attività così inusuale. Quel giorno ero molto tesa, guardavo gli studenti giapponesi: loro sembravano tutti rilassati e pronti. Uno studente del sesto anno di medicina (il nostro primo anno fuori corso), in piedi davanti al corpo, ha iniziato a spiegare come si sarebbe svolta la dissezione e con in mano bisturi e pinzette. Poi ha effettuato la prima incisione. Guardando me e la mia compagna di studi Laura, ci fece intuire che era il nostro turno; mi ha ceduto gli strumenti e mi ha detto di continuare il lavoro. L’idea di provare per prima mi ha lasciata per un momento perplessa, poi però mi sono subito detta che era tempo di dimostrare a me stessa che potevo farlo e che sarebbe stata un’esperienza unica».

Laura: «Il mio origami dal Giappone è sicuramente più comico di quello della mia collega. Ciò che ricordo in primis è l’ostacolo della lingua: io parlo poco inglese, ma in Giappone, al di fuori del centro universitario che ci ha ospitato (Okayama), è davvero raro incontrare gente che lo mastichi bene. Per l’albergo, ad esempio, abbiamo utilizzato Google traduttore, così da rivolgerci in un mediocre giapponese allo staff. Il corso è partito il 16 settembre; siamo rimaste in Giappone sino al 29. Mi sono sentita subito ben accolta. La sera del giorno del nostro arrivo, ci hanno offerto una graditissima cena di benvenuto. Ed è in questo contesto che nasce il mio personale origami dal Giappone: in breve, ho fatto la mia prima gaffe. Lì non mangiano l’uva completa di buccia. Al dire il vero non mangiano alcun frutto con la buccia, neanche le pesche. Io, invece in un modo che definirei all’italiana, ho preso un acino d’uva e l’ho messo in bocca. Ho avuto gli occhi di tutti puntati addosso, mentre chiedevo a Sara ‘What? What?’. Fortunatamente alla fine il tutto si è concluso con una risata».

Un’avventura culturale senza confini. Che significato ha per due ragazze così giovani? Sara: «ne sono stata davvero onorata. Devo dire che la mia scelta di fare domanda era nata all’inizio come un semplice tentativo. Molti studenti preparatissimi ambiscono all’ottenimento di questa borsa e il giorno del colloquio sapevo che non sarebbe stata un’impresa facile. Leggere il mio nome tra i vincitori è stato emozionante: l’orizzonte di una piccola ambizione personale iniziò a farsi sempre più nitido». Laura: «per me ha significato conoscere un universo complementare ed opposto, per certi versi, al mio. Abbiamo visitato Hiroshima: una tristezza immane. Abbiamo visitato Kioto, Kurasciki. Inoltre lì le donne sono considerate belle se hanno la pelle bianca. Questo dipende dalla considerazione che lì vige del ‘prendere il sole’: è nocivo e quindi lo rifiutano. Io sono tipicamente mediterranea e sono rimasti, soprattutto le ragazze, affascinati dai miei capelli ricci. In Giappone poi si consuma pochissimo sale, poiché si dice che faccia male, contrariamente all’abuso che forse se ne fa in Italia. Questo è un altro ricordo che porterò con me, oltre alle sette paia di bacchette che ho acquistato».

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La dissezione è una pratica molto diffusa nelle università di Medicina giapponesi. È vista come un modo di implementare la conoscenza del corpo umano. «In realtà - ha detto Laura – non ci hanno fatto studiare nulla. Abbiamo svolto il laboratorio di dissezione anatomica con 50/40 studenti infermieri. I veri e propri studenti di Medicina dell’ateneo giapponese erano pochi e per lo più guidavano le dissezioni. Avevamo a disposizione cinque cadaveri. Io in realtà ero già reduce dall’osservazione di un’autopsia qui all’Aquila, ma non può essere messa a paragone. Ci hanno insegnato in primis a rispettare il cadavere, poiché lui ha concesso, secondo l’ottica giapponese, di poter lavorare sul suo corpo. Una cultura che, sorprendentemente, mostra profondo rispetto per il cadavere, tant’è che ogni mattina, prima di cominciare, ci si riuniva attorno al corpo e si pregava per lui. Alla sera, verso le 17, si mettevano via tutti gli arnesi e si faceva l’inchino. A fine corso si è svolta una cerimonia per il cadavere: lo abbiamo posto in una bara ornata con dei fiori, l’abbiamo vestito simbolicamente, poggiando il kimono sulla salma».

Sara: «La dissezione in Giappone è un passo imprescindibile nella formazione di ogni studente di area sanitaria, non solo per i futuri medici. Oltre ad essere un’esperienza formativa è un momento segnato da un profondo rispetto nei confronti non del cadavere in quanto tale ma della persona che ha donato il suo corpo. Prima e dopo ogni giornata di dissezione tutti gli studenti si riuniscono intorno al tavolo dissettorio e dedicano qualche secondo al “mokuto”: chiudendo gli occhi si ringraziano il defunto e la sua famiglia per il loro atto di generosità. Garantisco che non c’è nulla di convenzionale il questo atto poiché ci si sente davvero legati a quella persona per la possibilità che ha offerto: uno studio vero, concreto e partecipativo. I venti giorni trascorsi in Giappone sono stati segnati dal giusto equilibrio tra studio e svago. I giapponesi sono delle persone estremamente accoglienti: nei nostri giorni liberi lo staff del professor Ohtsuka, la nostra guida accademica lì in Giappone, e gli studenti del nostro corso si sono resi disponibili ad accompagnarci nelle città circostanti e non è mancata occasione di passare delle splendide serate in loro compagnia».

Laura: «da tradizionali italiane noi abbiamo offerto ai ragazzi giapponesi un bel tiramisù preparato da noi. Al di là del fatto che abbiamo speso la bellezza di 31 euro per gli ingredienti, è stato simpaticissimo il giudizio finale espresso dalle nostre compagne orientali sul modo di cucinare questo dolce tipico: [i]it’s too difficult[/i]!».