Abruzzo: corsa all’oro rosso

23 luglio 2013 | 11:37
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Abruzzo: corsa all’oro rosso

di Francesca Calò
foto di Vittorio Giannella

Le stagioni nell’Altopiano di Navelli si alternano come in un caleidoscopio di colori: dal bianco lucente della neve, al rosa dei mandorli in fiore, al viola iridescente dei Crocus. Ma sulla tavolozza di colori, che pennella il paesaggio d’Abruzzo, brillano le tempere pastose del giallo e del rosso dello zafferano, l’oro in polvere che ha reso questo territorio famoso nel mondo.

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Nel cuore dell’aquilano questo è il tempo dell’attesa. La neve ovatta tutto, ricopre le macerie del terremoto, i muri impastati con la malta e la bianca pietra locale, i dolci pascoli dove le greggi ovine in estate si sostentano. Il massiccio del Gran Sasso è congelato in questa cartolina d’Abruzzo, che aspetta paziente la bella stagione per cambiare colore. A spezzare il candore spuntano qua e là piccoli, piccolissimi borghi medievali in cui il tempo sembra essersi fermato: niente di più sbagliato. Qui i ritmi sono incalzanti e i coppi imbiancati nascondono gente operosa che ha passato la vita nei campi di queste colline speziate: sono i coltivatori del crocus, la pianta da cui si ricava il pregiato zafferano. Si fa fatica a credere che gli esili stimmi di questo, che ora è un prodotto DOP, possano crescere su questa terra brulla, a un altitudine che va dai 600 ai 1000 metri d’altezza, ma qui nell’Altopiano di Navelli i produttori hanno colto la sfida e l’impegno e la volontà di conservare l’antica tradizione ha dato i suoi frutti: oggi lo zafferano dell’Aquila brilla per eccellenza, ricercatissimo sul mercato date le sue pregiate peculiarità.

Gli sforzi fatti soprattutto dal Consorzio di tutela sono stati rivolti tutti in questo senso. Ecco allora che per ottenere questi risultati, tutta la raccolta e la produzione viene fatta a mano. Un impegno notevole se si considera che per produrre un chilo di oro rosso, occorrono circa duecentomila fiori. La leggenda di come sia giunto fin qui si perde nella notte dei tempi. Si accredita l’ipotesi che sia stato un monaco, tale padre Santucci a importarlo dalla Spagna, nascondendoli nel manico del suo bastone. E il frate domenicano ci aveva visto bene se i segreti di questa coltura sono stati così sapientemente tramandati fino ad oggi e chissà se ne aveva immaginato l’ampio successo quando vide la sua terra natia, in piena fioritura ottobrina, ammantata di lilla. Di sicuro, chi si troverà qui tra ottobre e novembre non potrà rimanere insensibile di fronte a questo meraviglioso spettacolo: velluti viola a perdita d’occhio vestono i campi intorno a Navelli e Civitaretenga, Poggio Picenze, Santo Stefano di Sessanio, fino a raggiungere i piedi dell’Altopiano di Campo Imperatore. Un territorio affascinante, dove lo zafferano è solo il fil rouge per scoprire un angolo d’Abruzzo ancora poco esplorato.

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Tra polvere rossa e sassi ocra, vale la pena fermarsi a Navelli, piccolo borgo medievale arroccato sulla rupe che domina la piana. In alto, spicca il Palazzo Baronale Santucci, del XXII secolo, edificato sulle antiche rovine della fortezza medievale. Adiacente al castello, la Chiesa di San Sebastiano edificata sui resti di una chiesa antecedente. Quella che un tempo era la torre di difesa del castello, oggi è il campanile. Navelli è un paese-museo: profumano di storia le strade di questo che è annoverato tra i Borghi più belli d’Italia; l’eco del terremoto del 1456 è soffocata in tutta questa placidità. Il percorso alla città vecchia si snoda verso il basso: vicoli acciottolati, irte discese, scalinate, palazzi, archi e loggiati di unica bellezza costituiscono la maglia urbana di questo piccolo gioiello di pietra; la vista è abbagliata da scorci dei paesaggi incantevoli della campagna attorno e dei panorami sui monti della Maiella che si stagliano in fondo. Il paese si stringe attorno a sé stesso, tutto raccolto nell’insieme di case-mura che lo cingono con fare materno. E in questo accurato e commosso sistema di protezione, resistono oltre alle pietre, anche le tradizioni, come quella radicata e antichissima della coltura dello zafferano che ha reso questo borgo famoso in tutto il mondo.

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Ci si muove quasi in solitudine tra le strade scoscese senza vedere un’anima in giro. Oggi il borgo conta poco più di seicento abitanti, dalla metà del secolo scorso molti hanno deciso di fare la valigia e rifarsi una vita al di là dell’Oceano, diretti verso Venezuela, Canada, Stati Uniti e Australia. Resiste invece Gina Sarra che, con la sua fedele crew di lavoratrici, è la donna dell’Altopiano. Questa sposa dello zafferano la conoscono tutti, nell’aquilano è un’istituzione. Da quando il fratello Silvio non c’è più è lei a tirare avanti le fila della cooperativa che gestisce il Consorzio di tutela, che ha sede a due passi da qui, a Civitaretenga. Ed è forse per merito suo che questa piccola frazione ha resistito agli strazi del sisma del 2009: questo che sembra un cimitero di pietra è il cuore pulsante della piana, stazione di partenza da cui si diramano le vie speziate.

Sulla scia dei sapori si può proseguire fino a Santo Stefano di Sessanio, perfettamente incastonato nel Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga.

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Ha il volto impolverato dal tempo, ma dietro la facciata imbrunita si cela un presepe calcareo. Svettano dall’agglomerato medievale le merlature della cilindrica torre medicea, che imponente sorveglia questo luogo soave. La gentilezza dei loggiati cinquecenteschi, le abitazioni quattrocentesche, le tortuose stradine selciate, fanno di questo borgo uno tra i più belli d’Italia. Questo dedalo di strade aggraziate merita una passeggiata, perché è a suon di tacchi, passo dopo passo, che se ne scopre l’eleganza acquisita all’epoca in cui il feudo apparteneva ai Medici di Firenze. Periodo florido quello, durante il quale Santo Stefano è il maggior fornitore per la Toscana della lana “carfagna”, venduta in tutta Europa. Tra i vicoli bianchi di questo piccolo paese si espande l’odore ipnotico di zuppa di legumi, protagonista indiscussa della tavola locale. Strappare un invito a cena non è poi così difficile da queste parti, i 120 abitanti spiccano per ospitalità. E se si ha la fortuna di sedere al loro desco, l’occasione si presta per gustare le lenticchie autoctone, una varietà tipica della zona coltivata sopra i 1200 metri di altezza, di rara prelibatezza.

Si aggrappa saldamente alle pendici del Gran Sasso Castel del Monte d’Abruzzo, un vero gioiello architettonico, un tripudio di pietra che esplode tra sporti – gli archi di passaggio che sormontano le case – portali, vignali, viottoli lastricati e case-torre. Qui tutto scorre lento, i ritmi sembrano essere scanditi dalle transumanze pastorali che si muovono nei pascoli intorno. Una terra aspra da cui pastori e agricoltori locali hanno saputo tirar fuori il meglio: primeggia questo territorio per l’ottima carne ovina utilizzata nei succulenti arrosticini e per i formaggi pecorini prodotti dalla caseificazione di latte crudo, tra i quali si distingue la forma circolare perfetta del canestrato.

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Vale la pena arrampicarsi più in su per ammirare questo lenzuolo immacolato: a 2000 metri d’altezza la vista sul Corno Grande è mozzafiato: Campo Imperatore è un palcoscenico di neve in mezzo agli Appennini e su questo altopiano, di origine glaciale sospeso nel cuore del Gran Sasso, basta alzare un dito per toccare il cielo. Famosa per i suoi impianti sciistici, Campo Imperatore è ricordata anche per lo storico albergo dove nel 1943 fu tenuto prigioniero Mussolini. Sette minuti di funivia separano Fonte Cerreto dal “Tibet d’Abruzzo”, come amò definire questa località Fosco Maraini, e afferrare il perché non è difficile: qui è la quiete. Gli occhi silenti inseguono le vie antichissime lasciate dai passaggi delle greggi lungo i battuti tratturi che scendono a valle verso i pascoli di Puglia. Presto, le distese violacee dei fiori dello zafferano spezieranno i pendii circostanti, ora felpati di bianco.

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Informazioni utili

Come arrivare: Navelli si può raggiungere in auto con l’autostrada Adriatica A14 e poi con l’A 24 Roma – L’Aquila. Uscire a Bussi/Popoli, prendere la SS 153 in direzione L’Aquila e proseguire seguendo indicazioni per Navelli. Da L’Aquila: percorrere la SS 17 direzione Popoli. In treno: raggiungere la stazione ferroviaria di Pescara Centrale. Nel piazzale di fronteprendere l’autobus delle autolinee Arpa con direzione L’Aquila.

Dove dormire: A Santo Stefano di Sessanio si trova l’Albergo Diffuso Sextantio. Cinque case e un palazzo, tutti all’interno del borgo dove gli interni sono rimasti intatti. Gli spazi originari conferiscono a questa struttura autenticità senza tralasciare i servizi di un moderno albergo.

Dove mangiare: La Locanda sotto gli Archi, a Santo Stefano di Sessanio, privilegia i piatti legati alla produzione locale artigianale. I piatti sono tutti della tradizione abruzzese, secondo le ricette originarie. t. 085 4972324.

Link Utili: www.sextantio.it