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Grandi Rischi, Picuti: ‘Non fu un processo contro la scienza’

di Marianna Gianforte

Il processo alla Commissione Grandi Rischi è nato con l’intento di «fare chiarezza. La giurisdizione cerca la verità, non la vendetta». Così il sostituto procuratore della Procura della Repubblica dell’Aquila, Fabio Picuti, ha commentato il processo alla commissione Grandi Rischi nella sua composizione all’epoca dello sciame sismico poi culminato nella terribile scossa distruttrice del 6 aprile 2009.

Il pubblico ministero è intervenuto al convegno “[i]Volontariato e comunicazione nell’emergenza[/i]”, davanti a una platea di volontari, esponenti del mondo sindacale e giornalisti alla Casa del Volontariato, affrontando ancora una volta i motivi che sono stati alla base della dell’avvio del processo. «Il processo alla Commissione Grandi Rischi viene visto come in contrapposizione alla Protezione civile: non lo è», ha ribadito il pm. «La giurisdizione ha l’obiettivo di fare chiarezza sulle responsabilità di un errore affinché non vengano commessi i medesimi sbagli in futuro».

Non si è trattato, dunque, di «un processo allo Stato, alla scienza o alla Grandi Rischi», ha ribadito Picuti, «ma di un processo a 7 imputati, esponenti della pubblica amministrazione che, secondo la tesi accusatoria, durante la riunione del 31 marzo all’Aquila hanno sbagliato».

«L’accertamento della magistratura non ha riguardato la capacità della scienza di prevedere il terremoto», ha aggiunto il pm, aggiungendo una riflessione sul modo in cui «alcuni organi di stampa» hanno affrontato e raccontato il processo e la sentenza (che ha portato alla condanna a 6 anni di reclusione a ciascuno componente della Grandi Rischi, per aver dato false rassicurazioni alla popolazione dopo la riunione); una riflessione che ha animato il dibattito provocando la reazione dello scrittore e giornalista aquilano Amedeo Esposito. «I giornali hanno fatto un’associazione tra processo alla commissione e processo alla scienza», ha spiegato Picuti, «come se gli scienziati non fossero stati capaci di prevedere il terremoto. Ma il processo ha riguardato non la mancata previsione del sisma, bensì la verifica circa l’analisi del rischio sismico nel territorio aquilano», in un periodo di intenso sciame sismico. Per Esposito le parole del pm sono state un «processo alla stampa».

Picuti è stato ospite d’onore del convegno, organizzato dall’emittente televisiva “LAqtv”, al quale hanno partecipato anche il preside della facoltà di Scienze della Comunicazione di Teramo, Luciano D’Amico, e il docente esperto di comunicazione in caso di emergenza, Stefano Cianciotta.

Il docente ha sottolineato come «fino alla condanna della Grandi Rischi l’operato della pubblica amministrazione non è stato mai considerato dal punto di vista della comunicazione. C’è stato un deficit di comunicazione. La comunicazione è sempre stata pensata come avente a che fare con il [i]marketing[/i], ma c’è la legge 150 che obbliga la pubblica amministrazione a comunicare ciò che serve alla cittadinanza». «La sentenza Grandi Rischi segna uno spartiacque. L’analisi tecnica deve essere comunicata in modo adeguato. Altrimenti è fallace. Resta nell’alveo di chi l’ha proposta. Da quel momento in poi, dalla sentenza in poi, tutti i sindaci italiani sono attenti a come comunicare». Il professore ha portato come esempio la comunicazione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, all’avvicinarsi dell’uragano Sandy definendola «efficiente» e quella del[i] management[/i] dell’azienda siderurgica tedesca Thyssenkrupp: dopo l’incidente con vittime restò nel silenzio più assoluto. «Questo processo, invece, segna un modo diverso in cui la pubblica amministrazione dovrà gestire l’emergenza da ora in poi», ha concluso Cianciotta.

Ha ribadito l’importanza del ruolo del volontariato in situazioni di emergenza, il preside D’Amico: «Il volontariato può rappresentare il superamento di sistemi sociali ed economici che ormai mostrano limiti difficilmente recuperabili».

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