L'editoriale

Coronavirus, una proposta per salvare i centri montani

La pandemia di Coronavirus in atto deve stimolare le menti degli amministratori regionali per evitare il definitivo annientamento del territorio montano. L'editoriale di Fulgo Graziosi

La pandemia di Coronavirus in atto deve stimolare le menti degli amministratori regionali per evitare il definitivo annientamento del territorio montano.

Il domicilio forzato, meglio ancora gli arresti domiciliari, imposti dal Covid19, ha consigliato a tutti coloro, ossequiosi delle regole impartite dagli Organi responsabili, di restare nelle rispettive abitazioni, allo scopo di evitare di essere contagiati, o di contagiare i nostri simili.

In questo periodo, per la verità, ho ritrovato il gusto dell’approfondito dialogo con i familiari, con i quali ho intavolato serie discussioni di carattere sociale, politiche e, soprattutto, culturali. Anche la lettura di alcune interessanti pubblicazioni mi ha consentito di metabolizzare con razionalità i contenuti e, perché no, acquisire nuovi insegnamenti.

Nei momenti di pausa, abbastanza lunghi, dovuti ad una maggiore disponibilità di tempo, i pensieri hanno fatto interminabili galoppate, dall’infanzia fino ai giorni nostri. Sogni, progetti, propositi, iniziative, sono tornati in mente, sollecitando sempre più memoria e ricordi. Una memoria che ha assolto perfettamente alla conservazione meccanica delle informazioni. Mi sembra che abbia dato per scontato che io possa aver assimilato gli insegnamenti dei maestri. Nella cultura orale che ha tramandato se stessa, anche grazie ai ricordi degli individui, la memoria assume una importanza talmente rilevante fino al punto di farmi ritenere che il sapere e il ricordare possano essere considerati quasi sinonimi. Sono portato a credere che la memoria di ogni uomo possa essere una specie di letteratura privata. Infatti, ognuno di noi possiede le macchine del tempo. Alcune ci riportano nel passato colmo di ricordi. Altre, invece, ci proiettano nel futuro, assumendo la definizione di sogni, progetti, propositi e programmi.

In una di queste celle informatiche del cervello, ho ritrovato un vecchio progetto, più volte discusso, nella veste di Direttore delle Province Abruzzesi, con Presidenti e Assessori Regionali fin dagli anni ’80 e ’90. Il progetto andava sotto la denominazione “Salvaguardia dei territori montani regionali”. Lo stesso argomento fu riportato anche nella Legge Quadro Regionale n. 11, sostenuta dall’allora Assessore Passeri, in attuazione dei famosi Decreti Bassanini. Legge che non è mai giunta alla pratica attuazione, forse, per una scarsa e superficiale attenzione degli Amministratori del momento.

Siamo tornati sull’argomento, ma senza successo, anche negli anni successivi e, ogni volta, in occasione delle varie tornate elettorali. La stessa Regione ha commissionato a degli esperti uno specifico studio per analizzare le cause del decremento demografico delle zone montane e il conseguente depauperamento del territorio. Studio puntuale, razionale, preciso, contenente tre pilastri fondamentali della ricerca: analisi, tesi, sintesi. Anche questo studio è rimasto lettera morta. Non si è parlato più, in maniera decisa e concreta, della sorte da riservare ai centri montani in via di dissolvimento. Pensate che, allo stato attuale, esistono ancora dei Comuni con meno di cento abitanti.

Senza avventurarsi nei meandri di nuove ricerche, che non apporterebbero alcun contributo agli studi fino ad oggi eseguiti in merito, vorrei sintetizzare soltanto alcuni concetti di fondamentale importanza per affrontare, una volta per tutte, la situazione dei territori montani abruzzesi.

Iniziamo con i servizi, comprimendo al massimo i contenuti. In molti comuni non esiste più la scuola dell’infanzia, quella elementare e, naturalmente, anche la scuola media. Alcuni Uffici Postali sono stati soppressi e le operazioni di sportello vengono effettuate una o due volte alla settimana. Sono stati chiusi gli esercizi commerciali. Per fare la spesa gli anziani si devono rivolgere ai parenti o agli amici più giovani, che si recano nei centri provvisti e situati a volte a distanze ragguardevoli. Non si rinviene il servizio di Farmacia. I Segretari Comunali lavorano a mezzadria, uno o due giorni alla settimana per ogni Amministrazione. Alcuni paesi sono sprovvisti anche del parroco. La viabilità, dopo la deplorevole spoliazione delle Province, lascia molto a desiderare e i provvedimenti tampone sono risultati scarsi e poco mirati. Non è servito a nulla neppure lo schiacciante risultato del tanto enfatizzato ultimo “referendum”, con il quale gli italiani hanno decisamente rigettato la proposta della soppressione delle Province, ma la situazione è rimasta immutata. L’istituzione dei nuovi parchi nazionali, regionali e delle aree protette non ha fornito occasioni di benessere nella generalità, sebbene la finalità del legislatore voleva essere quella di Enti capaci di concorrere al sostegno della già carente economia locale. Invece, nel complesso, la nascita di queste nuove realtà ha prodotto, in gran parte, effetti negativi per le piccole economie locali con divieti e disposizioni eccessivamente fiscali.

A tutto ciò si aggiunga che la Regione, negli anni passati, ha sempre ritenuto la montagna un vero e proprio “problema”. Un’area che per gli svantaggi ambientali considerata debole e fortemente condizionata rispetto alle aree più dinamiche e capaci di produrre maggiori attrattive. Questo concetto potrebbe essere anche vero. Cozza, però, violentemente contro i grandiosi progetti che vorrebbero mirare a far diventare l’Abruzzo un polo internazionale di attrattive turistiche poggiate sull’ambiente, sul paesaggio, sulla storia, sull’archeologia, sull’arte e, per dire tutto in una sola parola, sulla cultura. La maggior parte di queste potenzialità, guarda caso, si trovano e sono gelosamente custodite nei territori montani. Forse, è arrivato il momento opportuno di mettere sul piano della programmazione le due tesi contrastanti: lasciar morire tutti i centri montani, che sono numerosissimi, e con essi imploderebbe tutta la Regione; oppure dar vita ad un progetto programmatico, capace di arrestare il decremento demografico, assicurando anche la conservazione dell’intero patrimonio culturale regionale, promuovendo, anche, il tanto sognato decollo socio economico dell’Abruzzo.

Non sarebbe sbagliato, forse, prima di arrivare alla conclusione propositiva, dare uno sguardo a questa significativa tabella che ho ritrovato tra le tante relazioni degli anni ’80. Ci potrebbe dare mirate indicazioni sulle eventuali decisioni da adottare. Essa ci offre una sintetica ripartizione dei Comuni montani effettuata secondo le regole ISTAT e, quindi, scevra di qualsiasi manipolazione:

 

 

PROVINCIA

 

 

Zona altimetrica

 

 

Superficie Kmq

 

 

Popolazione

 

 

Comuni n.ro

 

 

 

L’Aquila

 

 

 

Montagna

Collina interna

Collina litoranea

Totale Provincia

 

5.034,95

5.034,95

 

303.000

303.000

 

108

108

 

 

Teramo

 

 

 

Montagna

Collina interna

Collina litoranea

Totale Provincia

 

781,90

574,15

592,12

1.948,17

 

25.500

94.500

175.700

295.700

 

13

15

19

47

 

 

Pescara

 

 

 

Montagna

Collina interna

Collina litoranea

Totale Provincia

 

443,65

476,29

304,81

1.224,75

 

22.700

50.600

230.100

303.400

 

15

21

10

46

 

 

Chieti

 

 

 

Montagna

Collina interna

Collina litoranea

Totale Provincia

 

769,39

627,21

1.191,58

2.588,18

 

23.100

49.550

318.450

391.100

 

30

30

44

104

 

 

Totale Regione

 

 

Montagna

Collina interna

Collina litoranea

Totale

 

7.029,89

1.667,65

2.088,51

10.795,05

 

374.300

194.650

724.250

1.293.200

 

166

66

73

305

Il quadro, anche se in forma aggregata, ci offre una precisa idea della classificazione altimetrica dei Comuni della Regione Abruzzo. Elemento utile per la stesura della proposta che vorrei formulare alla Regione, non come rimprovero per la scarsa attenzione dedicata al problema negli anni passati, ma come impellente proposizione di una soluzione pressoché urgente e indifferibile.

La maggior parte dei centri montani sono abitati da tantissimi pensionati che concorrono tangibilmente al sostentamento delle famiglie dei figli con redditi abbastanza modesti o, per quelli che vivono in città per ragioni di lavoro, con costi di vita abbastanza sostenuti. Questi cittadini, inoltre, sono i custodi effettivi dei nostri tesori culturali regionali. Inoltre, la categoria è proprio quella a cui il Governo ha arrecato una irreparabile offesa con la concessione del “misero obolo” di tre euro l’anno di aumento della pensione. Inoltre, nelle aree collinari e montane è risaputo che la stagione invernale è molto più lunga e l’impiego dei termosifoni e l’uso della luce si prolungano per gran parte della giornata, con consumi sensibilmente maggiori.

Non provo a dimostrare i costi sostenuti dagli utenti di questi territori per detti servizi. Tutti i consiglieri regionali sono più che edotti in materia.

Vorrei lanciare, meglio ancora riprendere, l’antica proposta di esaminare la possibilità di ridurre sensibilmente le spese delle predette categorie, convocando al tavolo programmatico regionale le aziende concessionarie del gas e dell’elettricità, allo scopo di ottenere una riduzione dei costi di consumo. A queste riduzioni occorrerebbe aggiungere un modesto contributo a carico del bilancio regionale. In ultima analisi, per meglio concretizzare la proposta, forse, risulterebbe utile dividere il territorio regionale in quattro fasce altimetriche, alle quali applicare una riduzione dei costi dei richiamati servizi per gli utenti delle fasce collinari e montane secondo questo ipotetico ordine:

  • Da zero fino a 300 metri di altitudine: contributo totale pari a X%;
  • Da 301 fino a 600 metri di altitudine: contributo totale pari a y%;
  • Da 601 fino a 900 metri di altitudine: contributo totale pari a z%;
  • Da 901 e oltre metri di altitudine:  contributo totale pari a K%.

Tale soluzione, infine, potrebbe costituire la maniera giusta per incoraggiare gli utenti dei centri montani a restare nei paesi di origine e potrebbe essere la maniera giusta per incentivare la ripresa anche delle piccole attività artigianali e turistiche, dopo l’effetto devastante della pandemia di Coronavirus in corso. È una idea sulla quale bisognerebbe meditare a mente serena, senza preconcetti e senza mezze soluzioni. Potremmo essere i primi in Italia e in Europa a dare un segno tangibile alla ripresa economica e sociale del nostro Paese. Basta volerlo.

 

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