6 aprile 2009 - 6 aprile 2020

6 aprile e Coronavirus: la fiamma dei volontari Pivec

Missione: aiutare gli altri. Come nel terremoto del 6 aprile 2009, così oggi, nell'emergenza Coronavirus: parla Thomas Malatesta, presidente Pivec, volontario a 18 anni nei campi della sua città, L'Aquila

Missione: aiutare gli altri. Come nel terremoto del 6 aprile 2009, così oggi, nell’emergenza Coronavirus. L’intervista a Thomas Malatesta, presidente Pivec, volontario a 18 anni nei campi della sua città, L’Aquila

Montaggio tende, distribuzione di dispositivi di protezione individuali attivati dall’unità di crisi istituita presso la Regione Abruzzo, collaborazione con l’esercito per lo scarico dei dpi presso l’aeroporto di Preturo, sostegno alle attività dell’hotel Cristallo, supporto alla sala Operativa regionale da anni.

I volontari P.I.V.E.C.– sette distaccamenti in tutta la regione Abruzzo, circa ottanta le persone che coprono L’Aquila – sono ovunque in questi giorni di isolamento. Ovunque inteso come “lì dove c’è la necessità di una mano”: per gonfiare le tende del pre triage e manutenerle, per scaricare i pacchi con i dispositivi di protezione individuali arrivati all’aeroporto di Preturo, per andare a portare le medicine a chi ne faccia richiesta.

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E dopo 11 anni, in questi giorni di dolore e memoria, non possono non tornare in mente le divise delle tante associazioni di volontariato che per mesi hanno operato su L’Aquila: aiutando, sostenendo, ascoltando. 

Thomas Malatesta – Presidente regionale Pivec e formatore dei volontari – aveva appena compiuto 18 anni quando il terremoto è entrato, prepotentemente, nella sua vita.

Non il volontariato, però, che già portava avanti da un paio di anni in Pivec: quella che poi nel corso degli anni sarebbe diventata una missione da trasmettere ai più giovani. Anzi, una fiamma da tenere accesa giorno dopo giorno.

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Thomas Malatesta e Anna Maria Pezzulla, dalla Sala Operativa

L’emergenza per i gruppi Pivec è iniziata il 25 febbraio, con il montaggio del pre triage al San Salvatore. Stessa cosa poi è stata fatta a Pescara.

Due emergenze importanti, da aquilano e da volontario: terremoto 2009 e Coronavirus 2020. Sono diverse fra di loro e perché?

Dall’inizio dell’emergenza Covid 19, da quando abbiamo iniziato a fare le videoconferenze con tutti i distaccamenti, abbiamo capito che questa emergenza avrebbe segnato il punto zero della protezione civile. Un’emergenza sanitaria del genere che colpisce l’intero territorio nazionale, in modo violento, è la prima volta che viene affrontata dalla Protezione Civile, visto che della Sars si occupò il solo Ministero della Salute.  Il nemico è invisibile, non sai come e dove lo trovi… c’è una grande paura di quello che non vedi.

Il terremoto ha colpito nel 2009 l’intera città, il capoluogo: ha fatto grandi danni e portato via con sé tante vite. Ma una volta allestito il campo, sapevi che dentro casa tua non potevi tornarci a rischio della tua incolumità. Però è dentro agli stessi campi che si è ricreato un tessuto sociale, che si sono creati dei rapporti durati a lungo, dei gemellaggi che valgono moltissimo durante ma soprattutto dopo l’emergenza.

Nell’emergenza Coronavirus vediamo invece del tutto annullato il tessuto sociale.

Noi volontari mettiamo la divisa e usciamo ogni giorno: questo ci consente di mantenere i rapporti sociali fra di noi e siamo fortunati da questo punto di vista. Ma la stragrande maggioranza delle persone non può: c’è chi è da solo, chi abita in condizioni disagiate e lo dovrà fare ancora a lungo.

Il terremoto lo abbiamo vissuto tutti ma è una cosa che, nella sventura, ha creato anche ottimi rapporti che si sono poi mantenuti in questi anni.

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Com’è stato fare il volontario a 18 anni nella tua città e poi ritrovarsi a vivere i lunghi mesi di emergenza post sisma?

È stata una esperienza che mi ha fortificato e mi ha fatto capire tante cose. Troppo spesso diamo per scontate cose che poi rimpiangiamo quando ci viene a mancare – anche letteralmente – la terra sotto i piedi. Una ferita che si è riaperta in occasione del terremoto dell’Albania. Siamo tornati da lì il 23 dicembre e abbiamo portato i giochi ai bambini: sciocchezze, in fondo, come peluche, trenini, macchinine che però hanno lasciato i bambini felicissimi e li hanno fatti sorridere, almeno per un po’, senza pensare all’enorme tragedia del terremoto che ben conosciamo. Poi magari assisti a scene nei centri commerciali di bimbi che piangono perché non possono avere l’ennesimo giocattolo o l’ennesimo regalo e ti rendi conto che le cose che contano, in realtà, sono altre.

Il terremoto ti fa apprezzare sia le cose materiali ma soprattutto i rapporti con la gente: è forse questo il trait d’union fra i due eventi. Apprezzare i rapporti sociali, le persone e non le cose. Sono le persone che mancano.

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Lo scarico dei dpi all’aeroporto di Preturo in collaborazione con l’Esercito

In questi 11 anni sono state molte le attività organizzate da Pivec: sostegno ed aiuto per emergenze occorse in altre regioni, il già citato terremoto in Albania, le attività nelle scuole. Nelle scuole c’è consapevolezza del valore del prestare servizio aiutando la comunità?

La campagna nazionale #iononrischio in piazza è stata portata anche nelle scuole. Finalmente si è capito che il futuro sono i ragazzi e li abbiamo raggiunti negli istituti scolastici: “anch’io sono la protezione civile” è il motto che promuoviamo. La solidarietà è tantissima: ogni volta che c’è una emergenza, l’Italia e gli italiani sono sempre in prima linea. L’Italia è un paese straordinario da questo punto di vita.

Purtroppo, quello che continuiamo a vedere anche nelle attività svolte nelle scuole è un certo atteggiamento passivo. Il pensiero che, tanto, verrà sempre qualcuno a salvarci: quel qualcuno dobbiamo anche essere noi, non possiamo solo aspettare

Sei anche un formatore dei volontari: qual è la prima cosa che dici loro?

Che la Protezione Civile te la devi sentire dentro. È una missione. È quel piccolo fuoco che non devi far spegnere all’interno del tuo cuore e che devi coltivare giorno per giorno. L’innamoramento è forte, all’inizio: ma si spegne subito e questa fiamma va alimentata, con tanta buona volontà e onestà intellettuale.

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