Coronavirus - dillo al capoluogo

Coronavirus, la lettera aperta: “Stavolta non è un film, assistiamo alla furia della Natura”

Coronavirus, lettera aperta della giovane aquilana Flavia Santilli su quello che sembrava "uno di quei virus di passaggio". Da Bergamo a "era solo un'influenza", fino alla fede nella scienza.

di Flavia Santilli

Coronavirus, lo sguardo di un’aquilana. Da”è solo un’influenza” ai morti di Bergamo , dagli italiani che non rispettano le regole a una natura che, dopo anni di violenze, ha deciso di fermarci, tutti.

Coronavirus, fisso lo sguardo sulla lunga carovana di carri che lasciano la città in una macabra marcia funebre, dopo aver inghiottito centinaia di corpi di poveri uomini e donne portati via da un bastardo a forma di corona. Mia mamma scalpita dall’ansia che la corrode dentro, non ha la forza di lacrimare. Scene come questa le ho viste nei film sulla grande guerra.

Fisso lo sguardo sullo schermo, ma stavolta non è un film, è il mio popolo che assiste in silenzio alla furia della natura. 

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Coronavirus, non era solo un’influenza

A gennaio scorrendo le notizie qua e là pensavo che la condizione non mi avrebbe toccata da vicino, eppure eccoci qui. L’Italia è il paese più colpito. Sembrava uno di quei virus di passaggio. Una di quelle epidemie che scoppiano silenziose, fanno clamore per giorni o settimane e poi vengono sedate. Quei focolai isolati che si riaccendono a fiamma debole, soffocati fugacemente da un uomo che dimentica quanto la natura sia castigatrice. Ogni volta che essa ci dà tregua, tra una calamità e un’altra, torniamo alle nostre vite di consumismo e distruzione.

La malattia arriva. Il soggiorno in Italia fa da ponte infettivo per tantissimi altri paesi del mondo. Diventa una pandemia. Abbiamo avuto l’ennesima occasione di dimostrare a noi stessi di cosa siamo fatti. Un popolo di balordi commedianti. Ci offendiamo a sentirci chiamare incapaci e inadatti a gestire questa emergenza, quando siamo i primi a gettare sulle decisioni prese l’ombra del non rispetto delle regole. Le stesse regole a cui ci appelliamo su Facebook a suon di hashtag e campagne, talvolta anche satiriche; attraverso ridondanti flash mob demenziali e teatrini all’italiana, attraverso la risata e la concezione sdrammatizzata della realtà, senza mai essere seri.

Coronavirus, l’Italia predica regole che non rispetta

Contemporaneamente l’Italia dei social aspetta al varco la consueta copertina di Charlie Hebdo e la vignetta virale del momento all’insegna del black humor, pronta a giudicarle stizzita. Il giorno stesso che il paese è messo in quarantena, il popolo decide che deve emanciparsi dalle norme messe in atto. Inizia a uscire per una camminata, a riunirsi in festicciole e raduni, a partire in viaggio alla ricerca di tranquillità durante questi giorni difficili perché “Non cambieranno il mio modo di vivere per uno stupido virus influenzale”.

Intanto migliaia di italiani decidono di cambiare aria determinando la diffusione del virus. Incoscienti, incoscienti, incoscienti. Ripetiamocelo dentro prima di denunciare il vicino di casa che esce a fare jogging il giorno stesso in cui io esco per una passeggiata in montagna, dietro casa, con l’amica che abita nel quartiere, perché tanto “I controlli qui non avvengono e poi in montagna chi vuoi che ci sia”.

Sì. Anche io l’ho fatto. Sono colpevole di non aver rispettato tutte le restrizioni. Mi assumo le responsabilità delle mie azioni, come tutto il popolo italiano dovrebbe fare prima di congelarsi speranzoso di fronte agli eventi.
Purtroppo alla resa dei conti quasi 800 persone muoiono ogni giorno, migliaia di cittadini si ammalano contro le migliaia che guariscono, ma non basta. Mentre scrivo siamo a 53000 positivi, domani l’aumento sarà esponenziale e così via finché il processo non si stabilizzerà.

Coronavirus, la natura si ribella

È dura in questo frangente puntare il dito contro i responsabili della diffusione del baccello virulento portatore di malattia e paura. Se prendere le redini dell’emergenza significa aiutare il popolo a rialzarsi, significherebbe anche educarlo al rispetto di ciò che non può controllare, come appello di speranza per il futuro. È mio modesto e retorico parere che il dito va puntato contro l’uomo che è tanto pieno di sé da non avere limiti, il promemoria di una natura stanca di soffrire è questo. Ci dice di rallentare perché stiamo indirizzando il pianeta verso una ferita irreversibile.

Questa pandemia è uno dei tasselli di un enorme puzzle di regolazione dei conti, perciò ci ritroviamo impotenti davanti a essa. Il quadro ci riporta indietro di anni e anni, a quando non c’era conoscenza, cultura, medicina o potere alcuno, ci si appellava però alla fede.

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Coronavirus, la fede nella scienza

Sono aquilana. La fede l’ho persa tanto tempo fa e così tanti miei concittadini. Dio solo sa quanto la mia città ha patito indifesa. Che poi non so se esiste un dio che possa saperlo. Diversamente da una volta la mia fede si rivolge alla scienza, alla ricerca, alla conoscenza che salveranno il mondo. Numeri quasi infiniti di esperti si stanno adoperando per studiare una cura. Altrettanti ricercatori chiusi in laboratorio da mesi studiano il virus per captarne la specificità, da lì sarà più semplice evidenziare il suo punto debole.

La mia fede va a Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti; le tre scienziate dell’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma che insieme al loro team hanno isolato il nuovo Coronavirus, passo fondamentale per sviluppare terapie e un possibile vaccino. La mia stima e massima fiducia sono rivolte anche a chi è in prima linea; siano essi infermieri, anestesisti, medici, laureati e laureandi, paramedici, volontari della croce rossa e medici in soccorso dal resto del mondo. Troppo spesso dimentichiamo di menzionare nella lunga lista della gratitudine anche coloro che rendono avverabile l’incombenza di prestarci assistenza; come gli addetti ai servizi ecologici, ai trasporti, alle pulizie, dipendenti di supermercati, di farmacie e di tutti quei settori che muovono i fili a favore del corretto funzionamento degli ingranaggi della comunità. Perdonatemi se ho dimenticato qualcuno, ma vi pensiamo sempre.

Non si dimentichi di ringraziare anche chi ha tacitamente donato fondi per la causa, perché i soldi non fanno la nostra felicità, ma è il bene che creiamo con essi che ci renderà felici. Tutti coloro che si sacrificano in trincea per questa battaglia contro un male invisibile, ma dalle ripercussioni evidenti, sono gli stessi che ci spronano a fare del nostro meglio attraverso pochi ed efficaci gesti, quali lo stare a casa, rispettare le norme igieniche e prendere le precauzioni giuste. Basta una cooperazione funzionale per rimettere insieme le nostre vite e riadattare una civiltà ferita in questo strano mondo imprevedibile.

Coronavirus, la lezione del clima

Ricordiamoci, come cita la baby attivista del momento Greta Thunberg, che nessuno è troppo piccolo per fare la differenza, oggi come domani, per salvaguardare un pianeta che ci ha dato la vita e ci ospiterà ancora per molto se glielo permetteremo. Il parallelismo del tema mondiale contingente con l’argomento più importante degli ultimi anni, quello del clima, non è lasciato al caso. Varie sono le ipotesi su come questo virus si sia sviluppato e diffuso e ancora in corso sono gli studi per comprendere l’andamento della malattia e i rapporti con le variabili ambientali fondamentali.

L’unico perno attorno al quale gira il meccanismo nel suo complesso è l’uomo e tutto ciò che l’era moderna, attraverso la globalizzazione, ha portato nelle nostre quotidianità per far sì che un virus del genere, non letale, non brutale, sia potuto proliferare in così poco tempo e con un così forte impatto. Per questo motivo bisogna aver fede nella scienza e nelle azioni pratiche che giorno per giorno si trasformano nella causa di superamento di questo difficile momento che non avremmo mai pensato di dover fronteggiare per colpa nostra, o almeno in parte.

Stanno svolgendo studi da approfondire riguardo i paesi più colpiti dalla pandemia e di conseguenza i meno attaccati: a quanto pare il tipo di clima svolge un ruolo fondamentale nell’espansione dell’agente patogeno in relazione alle difese immunitarie dei singoli individui, al momento storico che stiamo attraversando e all’arco temporale nel quale sono iniziati i contagi. Inoltre l‘inquinamento e lo smog, in relazione anch’essi ad altre variabili, sono capaci di mutare drasticamente l’incremento e gli esiti dell’infezione, facendocela percepire come l’epidemia più dura da affrontare della storia; la densità di popolazione e lo stile di vita di un popolo, quindi usi, cultura, abitudini igieniche, dunque l’etnia di un individuo. Probabilmente anche la razza, intesa come popolazioni umane accomunate da date caratteristiche somatiche indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi, risponde in maniera differente al contagio e alla positività da Coronavirus.

Questo spiegherebbe facilmente perché molti paesi meno sviluppati e industrializzati o comunità dalle differenti tradizioni e colore diverso della pelle si adattino meno bruscamente all’impatto da Covid-19. Queste ipotesi sono attualmente in ambito di studio.

Coronavirus, la paura dell’ignoto

Coronavirus, il Covid-19, che sta per COrona VIrus Disease – Anno 2019, è un tipo di virus fragile, che si può combattere, affrontare, se non sconfiggere, come minimo indebolire. Non sono qui per dare delle specifiche tecniche o scientifiche riguardo la patologia, ma per rappresentare motivo di speranza per tutti noi. L’effetto più devastante che il contesto sta avendo sulle persone è un indebolimento psicologico causato dall’ignoto. È una situazione nuova e spaventosa per tutti. Ogni giorno che passa le notizie sui contagi, i morti, l’economia in calo e altri mille effetti determinati dal virus distruggono un pezzettino di noi. Veniamo messi alla prova giorno per giorno, costretti a fronteggiare convivenze prolungate e talvolta forzate, equilibri instabili come le nostre menti, vite sociali ridotte ai minimi termini, attività ricreative e di sfogo annullate. Tutti i giorni rinchiusi tra quattro mura, aggrappati con occhi e orecchie ai bollettini d’informazione, augurandoci di far fruttare quelle briciole di speranza che ognuno di noi nutre, affinché possiamo guarire.

Dobbiamo restare lucidi, uniti e coscienti del nostro potenziale. Dobbiamo fare la nostra parte, per tutti. Non dare retta ai politici da commedia e agli arrivisti truffatori che dopo una nuova disgrazia hanno riscoperto il varco giusto per marciare sulle spalle di milioni di persone che si sentono in pericolo. Chi promette soldi, chi materiale, chi personale in aiuto che non arriva; chi ruba, chi vende a caro prezzo, chi imbroglia economicamente la gente indifesa in un momento delicato; chi non si prende cura del vicino di casa anziano e chi non dedica il proprio stato di benessere al servizio di persone malate.

Si sentono storie di chi valuta il diritto alle cure mediche in base all’importanza e al tenore di vita di un cittadino. Non viviamo nel sistema sanitario americano né tanto meno in un sistema simil nazionalsocialista, in cui l’individuo più ricco, famoso, importante ha più diritti di un pover’uomo. La sanità va garantita in egual modo a tutti. Arrivano voci riguardo tamponi effettuati a calciatori, attori, esponenti di spicco della politica, dello spettacolo o del web, anche asintomatici, e testimonianze di medici che dopo essere stati in contatto con i malati, all’insorgere di lievi sintomi, si rintanano in casa per scontare i quattordici giorni di quarantena obbligatoria e alla richiesta di assistenza gli viene negato un semplice tampone di controllo, per indisponibilità di personale e risorse. Distacchiamoci dal cieco cinismo di questi soggetti.

Coronavirus, non dimentichiamoci la vita!

Coronavirus, la campagna pulita e onesta è quella di chi aiuta il mondo per il mondo e non per sé stesso; i giovani, gli appartenenti alle categorie non a rischio hanno una enorme responsabilità, potrebbero fare la differenza nel determinare la vita o la morte di altre persone. Noi oggi stiamo perdendo fiducia nella vita, passo dopo passo; perdendoci di vista, rinunciando ai saluti, agli abbracci, ai baci, ai gesti d’affetto e all’amore. Grazie all’amore verso il prossimo e alla fiducia e al rispetto che riponiamo negli altri renderemo il mondo un posto migliore, per affrontare un momento complicato per l’umanità. Riequilibriamo l’oscillante pendolo della vita che oggi si barcamena tra la parola Covid e 19, domani chissà.

Ogni dramma nasconde in sé qualcosa di amabile, in ogni negatività c’è una positività nascosta e non si tratta di contagi. In questi giorni il web è stracolmo di notizie inerenti i crolli dell’inquinamento atmosferico in tutto il mondo. Nazioni come la Cina, gli Stati Uniti e molti altri europei ai vertici della produzione e del commercio internazionale hanno ridotto le proprie emissioni, che sono all’origine dei problemi ambientali più urgenti da affrontare. Le acque sono diventate più limpide, l’aria più pulita, i terreni più sani: la terra respira. Questi effetti sono dovuti alla sospensione delle principali attività industriali in quasi tutti i paesi maggiori e alla riduzione di utilizzo dei veicoli (fonte primaria di diffusione dello smog all’interno di una città).

I cittadini, costretti tutto il giorno in casa, non hanno modo d’infestare con noncuranza l’ambiente; l’umana furia inquinante non ha la stessa influenza di prima. Mi scende una lacrima sul viso alla notizia di una famiglia di delfini che raggiunge il porto di Cagliari vantando doti comiche da danzatori, ridiventano padroni del golfo non più trafficato e meno contaminato dai carburanti delle barche e dai rifiuti gettati dai cittadini. I delfini a Trieste si riappropriano degli spazi dilettandosi in salti e capriole a ridosso della costa, come fossero in festa, una delle immagini che resterà per sempre impressa nella mia mente. L’acqua di Venezia così limpida non si contemplava da anni, sembra una piscina naturale. Gruppi di lepri giocano rincorrendosi vicino a Milano, disturbate soltanto dai residenti che filmano la scena dai propri balconi, ma in silenzio.

La bellezza di questi eventi mi ricorda che siamo noi a dover chiedere scusa dei nostri comportamenti a una natura che da millenni ci accoglie inerme, o quasi.
Cosa altro dobbiamo patire prima che l’uomo si educhi ad abitare un mondo di cui prendersi cura? Riflettiamoci in questi giorni bui, in cui ci prendiamo cura delle nostre abitazioni, ricordiamoci che la terra è la nostra prima casa.

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