Storia

Terremoto 2 febbraio 1703, quando L’Aquila cadde

Il terremoto del 2 febbraio 1703, sei mila morti su tutto il territorio e L'Aquila "adeguata al suolo".

L’AQUILA – «Cadde la Città, caddero le Chiese, e ogni opra fù coperta dalla desolazione, e miseria, seppellendo sotto monti di pietre Cittadini d’ogni conditione»: il terremoto del 2 febbraio 1703.

Tante volte cade, tante volte torna a volare, L’Aquila, «la nobile, ricca ed antica città, capitale della provincia di Sannio, la quale e per gli magnifici templi e per li sublimi palazzi e per lo numero dei nobili e per la ricchezza era la più illustre fralle altre città del regno Napoletano», la stessa città – descritta dallo scienziato Giorgio Baglivi al Duca d’Uzeda – che in quel 2 febbraio 1703 si presentava «tutta già diroccata ed adeguata al suolo, né altro vi resta che la facciata del tempio di S. Bernardino, e le esterne fortificazioni di Castro, mentre gli altri edifizii sono stati atterrati». Oltre 6mila morti su tutto il territorio, 2500 solo a L’Aquila. Circa 600 solo le vittime rimaste sotto le macerie della chiesa di San Domenico, mentre erano riunite a celebrare la Santa Messa in occasione della Candelora. Una tragedia inimmaginabile, che i rapporti dell’epoca possono solo vagamente evocare.

Lo sciame sismico durava da settimane, ma una delle prime scosse più violente si registrò il 14 gennaio, con «un Tremuoto così violente, – scrissero i magistrati locali nel Ragvaglio relativo alle tristi vicende del 1703 – che fè precipitare nella Città un Campanile, con parte della facciata della Chiesa di San Pietro di Sassa, e parte della facciata di San Quintiano, senz’altro daño, se non che del timore de’ Cittadini». Un terremoto «più gagliardo del primo» si verificò il giorno 16 gennaio e danneggiò molti edifici e chiese.

Ancora niente in confronto a quanto sarebbe accaduto il 2 febbraio, quando «replicò il tremuoto, e fù così orribile, che con un breue miserere rouinò la Città». Il quadro rappresentato dal rapporto è raggelante: «Il tremore della medema, li precipitij de gli’Edificij, le grida, i lamenti de’ semi viui, i pianti delli feriti, il timore della morte, e la perdita della luce offuscata per più di due ore, composero in quel momento un tuono d’abisso, e uno spauento infernale; impallidirono i più forti, e rimasero insensati i meno, e tutto spirò orrore, morte, e confusione; cadde la Città, caddero le Chiese, e ogni opra fù coperta dalla desolazione, e miseria, seppellendo sotto monti di pietre tre mila Cittadini d’ogni conditione».

L’inferno si era spalancato sotto la città e l’aveva inghiottita. Due furono i bandi emanati appena il commissario straordinario giunse in città: coprifuoco, obbligo del lume, dieci giorni di galera ai ladri e apposite licenze per l’estrazione dei cadaveri e per cercare oggetti tra le rovine delle proprie case. Nella piazza di San Bernardino fu allestita una grande baracca per accogliere i feriti. «Fu creato il Gouerno della Città, in luogo delli estinti dal tremuoto. Si cominciarono a disseppellire i morti rimasti sotto le rouine, nelle Chiese, e in altri luoghi; e in quella di S. Domenico volle assistere l’istesso S. Marchese distribuendo gli altri Sig. Ministri alle altre Chiese. […] Si aprirono alcune strade più principali al commercio, buttando a terra l’auanzo delle muraglie, che minacciauano morte a i passeggieri. Si fabbricarono più forni da cuocer pane, essendo rimasti atterrati quelli che vi erano; e fù prouisto all’abbondanza del pubblico. […] Furono accomodati gli acquedotti, […] si costrussero baracche a poueri necessitosi per difenderli dall’oltraggio del freddo, e si dissimbarazzò la piazza del Duomo».

Insomma, L’Aquila reagiva, anche se non sarebbe più stata la stessa. In “Suffragio” delle vittime, venne costruita un’altra chiesa in piazza Duomo, la chiesa di Santa Maria del Suffragio o chiesa delle Anime Sante. Cambiarono perfino i colori della città: «Di rosso, all’aquila coronata ed al volo abbassato d’argento», prima del 2 febbraio 1703, nero e verde dopo. Nero come il lutto per gli oltre 6mila morti su tutto il territorio e verde come la speranza che non ha mai abbandonato i suoi cittadini. Né nel 1703, nel 2009. Se L’Aquila cade, L’Aquila torna a volare.

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