27 gennaio

L’Abruzzo che divideva ‘il pane che non c’era’

Per la Giornata della Memoria, storie dall'Abruzzo che non ha ceduto alla barbarie.

GIORNATA DELLA MEMORIA – Le montagne come terre di confino per ebrei e oppositori politici. L’Abruzzo che divideva “il pane che non c’era” e resisteva alla barbarie.

I contadini qui sono meravigliosi. Sebbene nessuno abbia detto nulla, cominciano a portare forme di formaggio o pezzi di pane o uova, e presentano tutto con un fare imbarazzato, come se si vergognassero”. Così – come ricorda Mario Setta in occasione di una recente edizione della Giornata della Memoria – scriveva nel suo diario Luigi Fleischmann, un ragazzo ebreo nelle retrovie, raccontando il confino a Navelli, insieme alla famiglia. Un diario che poi sarebbe diventato un libro edito dalla Giuntina.

Il regime fascista, evidentemente, considerava le montagne abruzzesi una sorta di galera a cielo aperto, nel quale l’isolamento era naturale e inevitabile per coloro che venivano mandati al confino o nei campi di internamento “diffusi”. Paradossalmente, però, proprio nei luoghi più duri e impervi, gli stessi trovavano un’accoglienza e un calore insperati. “Navelli – scriveva Fleischmann – si può trovare facilmente su una buona carta dell’Abruzzo. È un paese di più o meno duemila abitanti e nella forma non è molto differente dagli altri villaggi di montagna dell’Appennino centrale: si arrampica su di una collina e finisce in cima con il solito castello. […] la nostra colonia di internati è variamente composta: siamo tre famiglie di ebrei: Fleischmann, Degen e Billig, una famiglia di inglesi, Osmo-Morris, altre due signore inglesi, e un paio di confinati politici, come Giordano Bruno, un toscano ex-combattente di Spagna, e uno slavo, Dussan. Sono già più di tre anni, da quel 19 giugno 1940 quando, alle quattro di mattina, vennero i neri con le baionette inastate, a portarlo via. E da allora papà è passato da un campo di concentramento all’altro: dalla reclusione a Fiume, portato via con altri trecento ebrei come un delinquente”.

A Pizzoli invece c’erano i Ginzburg, Leone e Natalia, con i figli Carlo e Andrea, una presenza fondamentale per la formazione politica del parlamentare e storico sindaco Vittorio Giorgi: “Trascorrevamo lunghe serate a discutere della guerra e delle sue terribili conseguenze. Parlavamo del fascismo e dell’antifascismo ma discutevamo anche di altro. In verità a parlare era quasi sempre lui, Leone. Io ascoltavo e cercavo di memorizzare… A volte tra me e me dicevo: ma come è possibile che persone di questo livello culturale e politico si attardano a parlare con uno come me che ha fatto appena la quinta elementare? Nei confronti dei Ginzburg scattò un sentimento di grande simpatia […] Il rapporto con lui e con Natalia fu sempre intenso”. I Ginzburg rimasero legati al piccolo centro dell’Alto Aterno, Natalia – dopo la morte di Leone – tornò in più di un’occasione a Pizzoli, che ha una ricca biblioteca intitolata proprio alla illustre famiglia ebrea confinata dal regime fascista.

“Giunsi in questo paese, dopo l’8 settembre 1943 quasi per caso, e il caso si impersonò nell’amico Nino Quaglione. Vi giunsi dopo aver provato, come tanti giovani militari, l’amarezza della dissoluzione dell’esercito, l’umiliazione della disfatta, la rabbia perché non ci era stato dato modo di reagire”. Così invece, sempre dalla ricerca di Setta, Carlo Anzeglio Ciampi, che diventerà Presidente della Repubblica, parlando di Scanno. “Nel silenzio di queste montagne, si avviò un dialogo, una riflessione in primo luogo all’interno di noi stessi, con le nostre coscienze. Ci ponevamo la domanda sul come ritrovare il fondamento del vivere civile. Riconquistammo la serenità nei nostri animi a mano a mano che acquisimmo la consapevolezza intima dei valori alla base della vita di una collettività: in primo luogo la libertà, interpretata e applicata nel quadro del vivere in comune, il rispetto cioè della libertà e dei diritti degli altri come condizione per rivendicare la libertà e i diritti propri. […] Una popolazione povera, provata da anni di guerra, semplice ma ricca di profonda umanità, accolse con animo fraterno ogni fuggiasco, italiano o straniero; vide in loro gli oppressi, i bisognosi, spartì con loro ‘il pane che non c’era’; visse quei mesi duri, di retrovia del fronte di guerra con vero spirito di resistenza, la resistenza alla barbarie“.

A Montereale e poi a L’Aquila fu invece costretta all’internamento la famiglia di Mario Pirani. “Il padre, – racconta Mario Setta – seguito dalla famiglia, nel mese di giugno 1940, viene obbligato all’internamento a Montereale, in provincia di L’Aquila. Nel mese di ottobre la famiglia viene trasferita all’Aquila (prima in via Paganica e poi in via Majella). Nel 1943 la famiglia si trova da qualche anno a Pescara, dove Mario ha rapporti d’amicizia con Leopoldo Ferrara, Tommaso Taddonio, Glauco Torlontano. Il bombardamento del 31 agosto 1943 li costringe ad allontanarsi dalla città. Si trasferiscono a Penne, prendendo in affitto alcune stanze delle sorelle del parroco. Un giorno, per sfuggire al rastrellamento, Mario trova rifugio nella canonica, aiutato dal parroco, che lo nasconde in un armadio a muro. ‘Quel giorno – racconta Mario Pirani – sarei potuto finire ad Auschwitz. Eravamo piombati in una delle più immani tragedie della Storia. Ormai era in gioco la vita di ogni ebreo e di chiunque avesse una traccia di sangue ebraico’”.

A Sulmona, Oscar Fuà, il giovane ebreo che a 17 anni partecipò alla lotta di Liberazione: “Era stato nascosto, con tutta la famiglia, nelle case di amici sulmonesi. Si verificava a Sulmona ciò che avveniva ad Amsterdam, dove in un edificio di via Prinsengracht 263, vivevano nella clandestinità la famiglia Frank, i signori Van Daan e il signor Dussel. Il celeberrimo Diario di Anna Frank descrive l’isolamento e la paura di essere scoperti. Ma a differenza dei Frank che furono traditi e deportati nel lager di Bergen Belsen dove morirono, la famiglia Fuà non venne denunciata né scoperta. Con l’arrivo a Sulmona dei patrioti della Brigata Maiella, Oscar Fuà vi si arruola con l’obiettivo di contribuire alla Liberazione d’Italia. Dopo pochi mesi, il 4 dicembre 1944, viene ucciso in battaglia a Brisighella, in provincia di Ravenna”.

(In copertina: scritta antisemita, Italia 2020)

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