L'editoriale

Europa, i pericoli della mancata crescita nazionale e comunitaria

L'analisi di spazi, credibilità e, soprattutto, competitività internazionali nell'editoriale di Fulgo Graziosi.

Europa, i pericoli della mancata crescita nazionale e comunitaria.

Per la prima volta, lunedì 6 maggio mattina, ho avuto l’occasione di ascoltare senza tante sceneggiate, interruzioni e atteggiamenti di parte, una bella intervista della conduttrice della trasmissione Agorà a un noto economista di valenza europea. Certamente, la professionalità dell’intervistato ha fatto evidenziare la giusta differenza, anche se la conduttrice ha cercato di carpire qualche segreto relativo alla cordiale e fraterna amicizia tra l’economista e il nostro Ministro Tria, sull’operato e le capacità del quale ha espresso positivi apprezzamenti.

Tentativo andato a vuoto, perché l’intervistato, con molta eleganza ha detto che con Tria parla di tutto, di cultura, di arte, di spettacolo, di viaggi, ma anche di economia e di politica.

Con molta arguzia, mantenendo alto il livello del suo intervento, ha rettificato e puntualizzato alcuni concetti sull’Europa, espressi con molta approssimazione dai nostri governanti, sia in senso positivo che negativo.

Una particolare espressione mi è piaciuta.

“L’Europa attuale è cosa ben diversa da quella che avevano progettata e messa in piedi dai governanti dell’epoca, tra i quali figuravano in primo piano i parlamentari italiani, promotori dell’idea europeista”.

Questa affermazione mi ha fatto particolarmente piacere, perché ha richiamato alla mete un intervento partito proprio da queste colonne due anni or sono.

In quella occasione avevo detto che il nostro Draghi, illuminata mente posta alla guida della BCE, aveva saputo realizzare una attenta politica finanziaria, malgrado la palese resistenza di alcune Nazioni, acquistando le obbligazioni degli Stati membri, in maniera che il debito pubblico europeo restasse all’interno della UE, così come ha saputo fare prima di noi il Giappone.

Questa strategia, purtroppo, non è stata seguita, ma neppure concepita, dal nostro Paese.

Gli elementi che hanno messo le mani sul nostro debito pubblico, parliamo sempre dei Paesi comunitari, hanno sfruttato il privilegio acquisito per imporre ogni possibile restrizione alla nostra economia, esercitando forme di pressione a largo raggio che, con l’andare del tempo, ci hanno reso sempre più sofferenti.

Le pressioni non sono state mai applicate con il sistema “erga omnes”. Sono state mirate, in maniera assai mirata, verso settori importanti e determinanti della nostra economia nazionale. Basterà citarne uno per tutti per avere una idea piuttosto convincente. Fu emessa una direttiva che riduceva, in maniera drastica, la produzione del latte.

Vennero assegnate le famose “quote latte” che, apparentemente, tutti gli Stati avrebbero dovuto rispettare. Fu dato anche un contributo per l’abbattimento dei capi bovini. Detto sinteticamente.

Le nostra aziende casearie, ancora oggi, sono costrette ad acquistare latte presso i Paesi confinanti e, in particolare, dalla Germania, dall’Olanda e dalla Francia.

Dopo un paio d’anni la stessa UE ha diramato una nuova disposizione, con la quale si autorizzano le aziende casearie a impiegare la farina di latte per la trasformazione della stessa in latticini, formaggi e derivati.

Tutto ciò per favorire quei Paesi produttori della farina di latte come la Germania, l’Olanda e la Francia, dove l’abbattimento dei capi bovini non fu attuato e l’esubero del latte venne trasformato in farina.

Questo argomento venne denunciato con rapidità e incisività da questo giornale e, con certezza, finì sui tavoli del Consiglio dei Ministri e della stessa UE. L’efficacia della direttiva UE fu sospesa anche per merito di questo quotidiano, pur se in misura marginale. Furono tutti i Paesi interessati a giudicare il provvedimento inadeguato e fortemente “partigiano”.

Il giudizio critico espresso dall’economista, ospite della trasmissione Agorà, ha posto in evidenza gli errati orientamenti della UE, senza scendere nei particolari, ma allargando l’orizzonte dell’analisi all’intera politica europea, giudicata poco oculata e produttrice di positive ricadute economico finanziarie.

Mi è piaciuta la chiusura dell’interessante e convincente discorso in merito alla crisi economica che quasi tutti i Paesi stanno soffrendo, concetto che questo giornale ha sempre sostenuto e difeso.

“Non solo i Paesi in difficoltà devono preoccuparsi della scarsa o mancata crescita economica, ma, prima di tutti, dovrebbe preoccuparsi seriamente la UE della propria mancata crescita. Se non cresce l’Europa, non possono crescere neppure gli Stati membri e questa situazione trascinerà i Paesi comunitari verso una inarrestabile e pericolosa implosione generale”.

Conclusione. Appare quanto mai urgente e indifferibile procedere alla costruzione di una UE seria, ordinata e compatta, se si vogliono riconquistare spazi, credibilità e, soprattutto, competitività internazionali che, con il passare del tempo, appaiono sempre più stretti.

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