6 aprile - 10 anni dopo

Terremoto L’Aquila: “Un segno indelebile nella storia di ognuno di noi”

A dieci anni dal sisma, il ricordo del giornalista Giuseppe Ritucci, partito da Vasto con altri scout per portare sostegno alla popolazione aquilana.

A dieci anni dal terribile terremoto del 2009, il contributo del giornalista Giuseppe Ritucci, che con gli scout vastesi è immediatamente partito per portare sostegno agli aquilani.

Giuseppe Ritucci 10 anni fa lavorava nel settore comunicazione di un’etichetta discografica, prima di diventare uno dei più stimati giornalisti del vastese. In forze a zonalocale.it e Il Messaggero, Giuseppe è un collega (con cui nella mia “vita precedente”, precedente al trasferimento a L’Aquila, ho collaborato proprio a zonalocale.it) e amico, lo dico subito, per non fare come quelli che sulla stampa fanno finta di non conoscersi e poi li ritrovi a cena insieme. Ad ogni modo, tra il 5 e 6 aprile 2009 Giuseppe era a Vasto, a “distanza di sicurezza” dal terribile sisma, ma questo non lo ha reso indifferente a quello che stava succedendo a L’Aquila.

«La scossa del 6 aprile – racconta per la prima volta a distanza di 10 anni Giuseppe a IlCapoluogo.it – ha svegliato me, come tantissimi abruzzesi, e subito, vista la sua intensità, ho realizzato che qualcosa di grave era certamente accaduto. È stato il televideo a dare le prime notizie che indicavano in L’Aquila l’epicentro del terremoto. Poi, al mattino, quando in tv passavano immagini strazianti, è subito partito il giro di messaggi con altri capi scout per dire “Ci siamo” e dare la nostra disponibilità ai referenti regionali dell’Agesci. La giornata è stata un lungo susseguirsi altalenante di “partiamo” o “no, hanno detto di aspettare”. In tre siamo riusciti a liberarci dal lavoro e iniziare ad allestire il viaggio. Il parroco ci ha messo a disposizione un furgone, con altri capi scout e amici abbiamo raccolto materiale che presumibilmente sarebbe potuto servire. Nel tardo pomeriggio arriva la chiamata: “Possiamo andare”».

Terremoto 2009, l’arrivo a L’Aquila e quel tuffo al cuore alla Piana di Navelli.

«Ci siamo messi in viaggio in tre, – presegue Giuseppe – io con Angelo Marzella e Michele Milani, con destinazione la caserma della Guardia di Finanza, dove si stavano raccogliendo tutti i volontari in arrivo a L’Aquila. Difficilmente dimenticherò l’attraversamento della piana di Navelli. Nell’opposto senso di marcia la lunga fila di chi stava lasciando casa dopo aver caricato tutto ciò che poteva in auto. Un viaggio surreale, sapevamo che stavamo andando in una città distrutta ma, nelle zone che attraversavamo, tutto sembrava normale.

«Siamo arrivati a tarda sera e ci è stato affidato il desk dove tutti i volontari che arrivavano, un fiume continuo, venivano registrati per poter essere poi dislocati. Siamo andati avanti per tutta la notte, prima a mano, poi allestendo le postazioni con i pc per essere più efficaci. È lì che ho capito realmente cosa fosse il terremoto. Durante la notte una scossa molto forte, la struttura metallica del palazzetto in cui stavamo operando è come se si fosse inclinata e poi tornata in posizione. Così abbiamo deciso di non dormire all’interno preferendo i sedili del furgone parcheggiato nel piazzale. Erano giorni in cui i volontari hanno cercato di dare una mano per come potevano. Avendo il furgone a disposizione, il 7 aprile ci hanno dato dei pc da consegnare in vari centri operativi allestiti in paesini e frazioni dove mancavano anche stampanti e carta, figuriamoci dei buoni collegamenti di rete. Intanto le persone continuavano ad arrivare da tutte le parti d’Italia per mettersi a disposizione di quella emergenza senza precedenti».

terremoto 2009

Terremoto 2009, i giochi con i bambini nella tendopoli in Piazza d’Armi.

«Ci hanno poi destinato alla tendopoli di piazza d’Armi, per supportare il lavoro degli psicologi in particolare con i bambini. Il nostro vecchio Ford Transit è diventato il “mezzo operativo” con cui, insieme agli amici scout di Sulmona, abbiamo cercato di stare accanto a tanti piccoli aquilani. Intanto, per quel poco che riuscivamo ad avere notizie, abbiamo saputo dei due nostri conterranei, Davide Centofanti e Maurizio Natale, per cui con il passare delle ore si affievolivano le speranze. Alla tendopoli di piazza d’Armi, dove tra l’altro erano concentrate decine di troupe televisive (e quindi forse c’era una maggiore attenzione nel far vedere che la macchina dei soccorsi stava funzionando al meglio), abbiamo girato tra le tende per parlare con gli anziani, strappati dai luoghi della loro vita così improvvisamente, abbiamo giocato con i bambini che non capivano cosa stesse accadendo e cercato di parlare un po’ con i ragazzini che invece avevano ben realizzato il traumatico cambio delle loro vite. Siamo andati avanti e indietro, mettendo a disposizione le nostre forze e ciò che avevamo, continuando a dormire nel furgone perchè ci sentivamo più sicuri e vedendo quanta gente continuasse ad arrivare per dare una mano agli aquilani».

La solidarietà tra fatica e dolore.

Sono stati giorni di fatica e di dolore, ferite che, seppur non ti toccavano nella tua dimensione privata, perchè ad essersene andati non erano proprio parenti o amici, era un dolore condiviso tra tutti quelli e con tutti quelli che erano lì. Il Giovedì Santo il Vescovo venne a celebrare la messa alla tendopoli. Anche lui era dovuto uscire dalla sua casa e ricordo ancora l’intensità delle parole di quell’uomo di Fede, a cui in quel momento in tanti cercavano di aggrapparsi in una situazione in cui non c’era davvero risposta alla domanda “perchè?”.

«Siamo ripartiti per tornare a casa il venerdì, lasciando lì un pezzo di cuore, un segno indelebile nella storia di ognuno di noi, pur nella consapevolezza che avevamo solo fatto ciò che andava fatto. C’era gente della nostra terra che aveva bisogno di una mano e noi, che potevamo dargliela, lo abbiamo fatto. Siamo abruzzesi testardi e tante volte campanilisti. Ma, quando serve, ci stringiamo l’uno all’altro».

2009-2019, ritorno a L’Aquila.

«Sono tornato già diverse volte, per lavoro o per altre occasioni. Mai nella notte del 6 aprile. Quest’anno, con alcuni colleghi, saremo nel capoluogo per partecipare alla fiaccolata. In questi anni ho intrecciato il mio percorso di cronista con le storie legate al sisma del 2009 e, dopo dieci anni, porterò con me a L’Aquila il ricordo di tanti volti, impreziositi da sorrisi sinceri o segnati dalle lacrime».

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