Editoriale

Referendum, sotterfugi e fughe in avanti

Editoriale di Fulgo Graziosi

L’attuale classe politica, piuttosto superficiale ed evanescente, vorrebbe mettere a credere agli elettori di possedere il dono della sovranità. Le idee e la voce del popolo sono le uniche che contano. Da esse dipendono gli indirizzi e le decisioni del Parlamento. Così, purtroppo, non è e non lo è stato mai. Il popolo non ha mai comandato. Prova ne siano, tanto per non andare lontani nel tempo, i due referendum posti in essere da questa Repubblica. Nel primo, quello relativo all’abolizione del finanziamento ai Partiti, il popolo esercitò la sovranità, esprimendo la volontà per la soppressione della norma di finanziamento dei partiti. Risultato. Dopo pochissimo tempo, i parlamentari trovarono la soluzione alla sconfitta. Cambiarono il solo termine di “finanziamento” in “contributo” e gli italiani furono presi per i fondelli. I privilegi sono rimasti tutti e guai a parlare di abolizione dei medesimi. Forti del successo conseguito nel prendere in giro il prossimo, gli ultimi governanti, “gli innovatori” o “rottamatori” come amano farsi chiamare, hanno pensato bene di indire un nuovo referendum per dare uno scossone demolitore alla Costituzione, allo scopo di creare ulteriore caos e, nel caos, aggiustare il tiro per restare sempre in sella al potere. Questa volta, però, gli italiani hanno saputo giocare con arguzia. Hanno ascoltato le enfatiche dichiarazioni dei politici, che hanno cavalcato la tigre del dissenso, hanno fatto finta di essere favorevoli e, nel segreto dell’urna, hanno dato una sonora lezione all’attuale classe politica con effetti dirompenti. Qualcuno ha detto che, dopo la solenne sconfitta conseguita sul campo, sarebbe tornato a casa a fare la calza. La calza, ancora una volta, la stanno facendo i contribuenti, perché gli effetti del risultato referendario non sono stati applicati, come se la consultazione popolare non fosse stata mai eseguita. La Costituzione, per fortuna, è restata inamovibile. Le Province, però, malgrado l’espressa volontà del popolo contro l’abolizione, annaspano, boccheggiano, stanno morendo e con esse moriranno i servizi che venivano erogati con puntualità alle popolazioni dei territori di competenza. L’aspetto sconcertante è dilagante è data dal fatto che il Parlamento fa finta che non sia successo nulla e sta facendo in modo di far decantare la sconfitta. Il popolo, secondo loro, non può gridare vittoria. Non lo permetteranno e faranno in modo che il tutto finisca nell’oblio, come al solito. Ancora più sconcertante appare l’indifferenza degli organi di controllo dello Stato ad iniziare dalla Consulta, alla Procura Generale della Corte dei Conti, fino ad arrivare al Garante della Costituzione, sul cui operato gli italiani vorrebbero fare affidamento. Non una semplice letterina, o un garbato richiamo, il Capo dello Stato dovrebbe rivolgere al Governo. Ci vorrebbe una censura e un perentorio invito a provvedere in merito, altrimenti i cittadini si convinceranno che gli apparati governativi, parlamentari e le strutture portanti dello Stato si sono sgretolate, non esistono, non sono più in grado di far rispettare la Costituzione e le normative da essa derivanti. La riprova di questa inefficace ed evanescente gestione parlamentare la stiamo vivendo in questi giorni. Alcune Regioni, ritenendo di stare nel giusto e nel diritto, hanno fatto finta di svolgere un referendum consultivo per intavolare un discorso su una diversa gestione dei redditi prodotti. Sulla scorta dell’esito referendario sono stati posti in evidenza, invece, i pensieri reconditi, mascherati dalla espressione consultiva. Oggi hanno chiesto lo Statuto Speciale e la conseguente piena autonomia. Vale a dire una vera e propria secessione. Questa mattina, in un dibattito televisivo Rai, qualcuno ha chiesto, con estrema disinvoltura, la concessione degli stessi privilegi di cui godono le Province e le Regioni autonome. A tal proposito, gli italiani vorrebbero sapere, se il referendum avesse fornito esiti positivi alla soppressione delle Province, quelle di Trento e Bolzano sarebbero state soppresse? Se il Governo avesse posto nel quesito referendario l’abolizione delle Regioni, anziché delle Province, la risposta degli elettori sarebbe stata sicuramente positiva. A questo punto l’azione e le richieste delle Regioni secessioniste appaiono quanto mai improponibili. Infatti, per l’accoglimento delle stesse sarebbe tassativa la riforma parziale della Costituzione, che la maggior parte degli italiani, proprio a dicembre dello scorso anno, ha confermato la piena validità della medesima. Forse, anziché chiedere maggiori autonomie, sarebbe opportuno pretendere la riconduzione nell’alveo costituzionale delle Province e delle Regioni autonome, allo scopo di garantire a tutte le Istituzioni il trattamento paritario fiscale e politico. Allo stesso provvedimento dovrebbe far seguito la revisione razionale e corretta delle attribuzioni concesse alle Regioni, ridimensionandole, soprattutto nella gestione del potere, ricollocandole nel ruolo Costituzionale degli Enti Locali. Questa potrebbe essere la soluzione migliore per conseguire tangibili economie nella spesa pubblica, nella cui formazione, proprio le Regioni, incidono per oltre il settanta per cento.

Fulgo Graziosi