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Morgia, L’Aquila mi è entrata nel cuore fotogallery

FORUM: Intervista di Silvio Sarta a Massimo Morgia. 

di Claudia Giannone

Primo Forum de IlCapoluogo.it con l’allenatore dell’Aquila Calcio Massimo Morgia, che si racconta nell’intervista di Silvio Sarta: il tecnico a 360 gradi, dall’arrivo nella città al suo passato, fino a giungere alla visione di un mondo che oggi sembra quasi tornare sui propri passi.

morgia e sarta nella redazione de Il Capoluogo
morgia e sarta nella redazione de Il Capoluogo

L’amicizia tra l’esperto giornalista sportivo ed il tecnico navigato ha portato ad un’ora e mezza di piacevole conversazione, in cui Morgia si è messo a nudo in tutta la sua umanità e nella sua grande passione. Uomo dallo spiccato senso del rispetto, integerrimo e sensibile, innamorato dei ragazzi che, a suo convincimento, rappresentano l’investimento più grande della società. L’allenamento con Morgia non è fatto da 11 uomini, ma dai 50 ragazzi che compongono la prima squadra e le giovanili.

«Ho sempre avuto un rapporto molto bello con i ragazzi che ho allenato. Tra di loro, c’era Alessandro Battisti, che mi ha chiamato per questa nuova esperienza aquilana, iniziata a giugno 2016. Venendo qui e conoscendo il Presidente e la società, ho compreso la passione che c’era nella città. Ma ciò che mi ha spinto ad accettare è stato il nuovo stadio, il “Gran Sasso d’Italia“, che rispecchia alla perfezione una delle mie battaglie, quella dello stadio senza barriere. Corrisponde a quel tipo di cultura che io vorrei portare nel calcio».

«La città mi è entrata nel cuore. Le risposte sono state tante. Ho visto il terremoto negli occhi della gente, nella paura ad ogni scossa. Guardandomi intorno, mi rendo conto di cosa significa. Tanto è stato ricostruito, ma c’è ancora da lavorare. Gli eventi sportivi non possono sostituire una città distrutta, ma possono rappresentare un punto di incontro per le persone che hanno perso il loro centro storico». 

morgia e sarta nella redazione de Il Capoluogo
morgia e sarta nella redazione de Il Capoluogo

Due le parole chiave per il tecnico rossoblù: la prima, ricostruzione, una parola che riguarda la città dell’Aquila, ma allo stesso tempo il suo operato in due precedenti esperienze, nelle quali ha interpretato il ‘restauratore’.

«La ricostruzione è il simbolo di questa città. Personalmente, dal 2009, con l’esperienza nella Juve Stabia, ho smesso di fare l’allenatore ‘normale’, perché ho deciso che quel mondo non mi apparteneva più. Solo a Pistoia, con un programma ed un progetto in cui credevo fermamente, ho ricominciato. Mi sono sempre ritenuto un ‘restauratore’ di opere, due sono state quelle riconsegnate, Siena e Pistoia”. 

morgia e sarta nella redazione de Il Capoluogo

E senza dubbio, un’annotazione sui social network, mezzo fondamentale nella comunicazione di oggi.

«Non sono sempre stato un amante dei social network, ma lo sono diventato. Ho capito che il mondo era cambiato e che, per mandare avanti il mio discorso e comunicare con i giovani sempre connessi, dovevo utilizzare i loro mezzi. Per questo ho aperto una pagina facebook, “Quelli che ci vogliono provare”. A far cosa? A cambiare un calcio che non appassiona più nessuno. Un calcio di stadi sempre più vuoti».

Seconda parola chiave: pubblico. E con esso, il cambiamento del pensiero di Morgia come conseguenza del pubblico aquilano.

«Quando sono arrivato, ho chiesto di non voler ottenere tutto e subito, anche considerando il budget, che era buono, ma non esagerato. Siamo partiti con un lavoro a medio o lungo termine. Questo non significava non voler vincere il campionato. Più volte mi sono ritrovato a fare il ‘pompiere’: da nessuna parte era scritto che L’Aquila avrebbe dovuto vincere il campionato, né in qualità di capoluogo di regione, né per il passato della squadra. Ciò che conta è il presente».

«Questo discorso – ha proseguito –  è cambiato ad Albano Laziale, quando ho visto i quattrocenti tifosi al seguito. Da quel momento, non ho più affermato di non dover vincere. Sarebbe stato indoveroso. Questa città merita una categoria superiore ed in tutti i modi cercheremo di vincere il campionato. Il mercato si sta avvicinando, bisognerà costruire un organico che non abbia solo forza tecnica e tattica, ma soprattutto mentale. La personalità e le spalle per sopportare un peso così importante sono caratteristiche di pochi giocatori».

Un legame che non può mancare è quello tra squadra e città, secondo l’allenatore: un rapporto che si trova alla base. Sarà proprio in un evento pubblico che il tecnico e la squadra si troveranno di nuovo a stretto contatto con la città: il 15 dicembre, quando proprio Silvio Sarta presenterà il suo spettacolo teatrale, “La storia che non si deve raccontare”.

«Entrare nel territorio con i miei giocatori è fondamentale: bisogna innanzitutto entrare in quella storia per portare il calcio che ho nella mente. Poi, saremo noi a poterla fare. Queste sono le cose che fanno diventare una squadra importante, alla pari delle vittorie: vivere la città, le istituzioni, la popolazione».

E non tutti forse sanno che il tecnico, proprio nella precedente esperienza di Pistoia, ha raccolto tutte le proprie idee sul calcio in un libro: “Ricominciamo a giocare a pallone“.

«Il mio libro nasce a Pistoia, come regalo di Natale per i giocatori e per la società e soprattutto come ringraziamento per loro. La cosa piacque e mi chiesero una ristampa, questa volta donata ad altri. Ho venduto il libro, ad offerta libera, e donato il ricavato ad un istituto per ragazzi disabili. L’anno successivo, a Siena, c’è stata la seconda edizione. Il calcio deve sempre avere una funzione sociale».

E all’ultima domanda di Silvio Sarta, Morgia non può che rispondere con un sorriso «Cosa farà da grande?»

«Non me lo sono mai chiesto. Continuerò a fare ciò che mi piace, come mi piace. Questo mi ha condizionato nella mia carriera, ma non mi interessa. Ho sempre fatto le cose per dare soddisfazione a me stesso. Se non potessi guardarmi allo specchio, non potrei neanche guardare gli altri. C’è chi lo fa, ovviamente in politica. Personalmente, la mia preoccupazione riguarda i nostri figli».

«Quando ero giovane, l’idea era quella di aprire le frontiere e di permettere a tutti di sentirsi cittadini del mondo. Ora, siamo tornati a chiuderle. È come pensare ad uno stadio senza barriere, ma poi tornare a quelli precedenti. Non credo sia un bel mondo, in prospettiva futura».