In montagna con...

Incidenti in montagna: chi paga il salvataggio?

di Paolo De Luca*

Negli ultimi anni è aumentato il numero di coloro che frequentano la montagna con conseguente aumento del rischio incidenti. Molte tragedie si potrebbero evitare se gli escursionisti e gli alpinisti facessero più attenzione alle indispensabili norme di sicurezza: frequente una errata stima delle proprie capacità ed una scarsa valutazione del percorso che si vuole intraprendere e dei relativi rischi.

A ciò si aggiunge che la possibilità di contare sul soccorso gratuito non ha certo rappresentato un deterrente ed ha agevolato l’avvicinamento all’ambiente montano di persone che si avventurano senza alcuna esperienza e molte volte spinti dall’obiettivo di superare sfide non in linea con le proprie capacità. Ed ecco allora escursionisti bloccati in quota dal maltempo, spesso con abbigliamento non adeguato: non è difficile, infatti, vedere persone con scarpe da ginnastica, pantaloncini corti e maglietta sui ghiacciai, contravvenendo alle basilari regole di sicurezza.

Al verificarsi degli incidenti non si parla mai delle costose operazioni di salvataggio che in Italia sono imputate per intero alla collettività perché gestite dal servizio sanitario nazionale. Fortunatamente, però, alcune regioni (Lombardia, Piemonte sulla scorta dell’esperienza già maturata da tempo in Veneto, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta) hanno deciso di far pagare le costose operazioni di soccorso alpino al cittadino imprudente in emergenza.

Anche l’Abruzzo si sta allineando alle regioni dell’arco alpino e al buon senso: un team di esperti (del quale faccio parte anche io) su incarico della competente commissione (Ambiente) ha redatto una bozza di Legge chiamata “REASTA” la quale , a breve, sarà portata all’attenzione del sovrano Consiglio Regionale.

Ai sensi di una Legge di protezione civile, la numero 74 del 21.03.2001, al Club Alpino Italiano è affidato il compito di provvedere alla vigilanza e prevenzione degli infortuni nelle attività alpinistiche escursionistiche e speleologiche nonché al soccorso degli infortunati, dei pericolanti e al recupero dei caduti ad opera di tecnici di soccorso alpino e di elisoccorso inquadrati come “volontari” e quindi senza alcuna retribuzione economica. A tal fine il C.A.I. ha fondato un proprio corpo per i soccorsi in montagna chiamato Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico che percepisce finanziamenti pubblici per circa 10 milioni di euro l’anno tra Stato ed enti autarchici locali quali Regioni, Province, Comuni.

A questo punto, bisognerebbe interrogarsi sull’opportunità che un’organizzazione, come il CNSAS, formata da volontari, riceva finanziamenti pubblici e non avvalersi invece di squadre di professionisti altamente specializzati già esistenti nel Corpo Forestale dello Stato (Soccorso Alpino Forestale nei Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza (Soccorso Alpino Guardia di Finanza), Vigili del Fuoco (Speleo Alpino Fluviale), Esercito (Alpini) a cui eventualmente destinare quelle somme aumentando l’efficacia dei soccorsi; senza trascurare il fattore tempestività negli interventi, presumibilmente maggiore da parte dei professionisti rispetto ai volontari impegnati in altre attività.

Un tema sui cui riflettere e che andrebbe approfondito è anche quello relativo al servizio di elisoccorso che ogni regione affida a ditte private a costi altissimi.
Perché non mutuare l’esperienza della regione Liguria e della regione Sardegna dove l’elisoccorso è affidato ai Vigili del Fuoco e non a privati con un enorme risparmio di costi e con la garanzia di un’elevata professionalità?
Non nascondo una particolare sensibilità a questi temi: in parte legata alla mia personale esperienza come maestro di sci ed accompagnatore di media montagna; in parte, o forse soprattutto, legata al fatto che a mio padre fu negata un’ambulanza per il trasferimento da un ospedale ad un altro e non gli furono somministrati dei farmaci perché l’ospedale ne era privo. Con questo non voglio certo dire che le persone non debbano essere salvate ma ritengo importante che ognuno si assuma le proprie responsabilità: l’imprudenza non può essere tollerata soprattutto se mette a repentaglio altre vite e comporta costose operazioni di salvataggio.

Oltre a mirati interventi legislativi, alcuni dei quali fortunatamente hanno già visto la luce, ritengo sia importante una forte campagna di sensibilizzazione che possa contribuire alla diffusione, da un lato, di regole ben precise per vivere la montagna in sicurezza e, dall’altro, a convogliare gli sforzi economici in un’unica direzione a tutela dell’intera collettività.

Paolo De LucaPaolo De Luca, maestro di sci dal 1994 e accompagnatore di media montagna, residente a Pietracamela (TE)

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