Campo di Giove e la camicetta rosa di Maja

Testo e Fotografia di Vincenzo Battista

"La camicetta" di Maja si tinge di rosa, del tramonto: "La Bella addormentata", la Maiella, distesa geologicamente con il suo corpo pietrificato per circa 20 chilometri, rinnova la sua antica leggenda nel versante occidentale "dell'Abruzzo Aquilano", mentre scendiamo con gli sci da escursione sull'orlo a trina del " merletto" di monte Porrara, scolpito dai ghiacci e divenuto nell'immaginario collettivo il suo petto e l'addome; scivoliamo verso Campo di Giove: dal nuovo disegno urbanistico a stella, a stento riusciamo a riconoscere l'antico abitato di Campus Jovine, piccolo nucleo compatto intorno al colle, sicuramente così come lo vide Fortunato Rosselli, classe 1855, una delle prime guide, poi per generazioni, della Maiella e di Campo di Giove.

Con la mantella dei pastori, il bastone da guida alpina e le gambe avvolte da un rudimentale panno (le ghette) intorno alle gambe, settantacinquenne, in una immagine del 1930, posa in una fotografia scattata da un escursionista che ha portato in una ascensione invernale su Monte Amaro (2795 m.), con un'aria che sembra esattamente quella indicata dalla leggenda che lo avvolge, insieme alle sue gesta che da queste parti narrano incontri con gli orsi e i branchi di lupi della Maiella. Un uomo appartenuto alla storia del pionierismo escursionistico dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ancora immagini della famiglia Rosselli, datate questa volta 1939, conservate sino ad oggi: la casa, e, fuori i muli, prima di una escursione sulla Maiella che insieme a decine e decine di altre immagini etnografiche di altre famiglie e di escursionismo, costituiscono i materiali di un "Archivio della memoria" della montagna e delle sue genti così affiorato, che sembra distante anni luce dal turismo vacanziero della stazione invernale.

"Si libera un passato" dicono gli amministratori, e con esso un "progetto tematico sulla cultura dell'escursionismo e la montagna" dalle straordinarie immagini che dalla fine dell'Ottocento al dopoguerra documentano il paesaggio montano, i luoghi, il lavoro e in particolare gli uomini dell'epopea della "montagna sacra".

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