Se il Leone di Porta Barete potesse parlare …

di Andrea Giallonardo*

Venerdì 30 gennaio nella sala convegni Bper del complesso Strinella 88 si è svolta una conferenza dal titolo [i]Ritrovamenti archeologici nell’area di Porta Barete a L’Aquila[/i]. Sono intervenuti la dottoressa Rosanna Tuteri, archeologa della Soprintendenza Beni Archeologici d’Abruzzo e l’architetto Gianfranco D’Alò della Soprintendenza Bap d’Abruzzo. Hanno poi partecipato gli archeologi Piero Gilento, Claudia Micari e Roberta Leuzzi in qualità di collaboratori esterni della Soprintendenza Beni Archeologici d’Abruzzo.

L’evento ha fornito agli interessati un’occasione per capire bene come e perché si sia giunti a questa importante scoperta, nonché due grandi argomenti di riflessione: poter pensare che sia possibile far rinascere dalle macerie del terremoto una nuova Città più bella ma soprattutto più consapevole di sé, e la scarsa attenzione di cui godono nel nostro Paese i tesori ereditati da una storia millenaria.

La descrizione delle varie fasi del processo di ritrovamento e di analisi del sito sono state più che esaurienti, la gran quantità di nozioni che sono state offerte al pubblico dai relatori ha mostrato quanto grande sia stata la mole di lavoro che è stata necessaria per poter giungere ad una disamina accurata dell’argomento. Porta Barete, ora, è un nome che suona familiare a tanti aquilani, ma sarebbe stato altrettanto familiare se di mezzo non vi fosse stato un terremoto? Probabilmente no e questo è tristemente significativo.

Porta Barete, che nella storia non ha sempre portato questo nome, come attesta la targa ottocentesca che è venuta alla luce e che reca scritto Porta Romana, costituiva uno degli accessi principali alla città e la sua importanza viene denotata dal modo in cui la troviamo rappresentata in tutti i documenti disponibili. In essi infatti possiamo vedere una struttura monumentale, con tanto di antiporta, affiancata da un fontanile a tre bocche. Agli occhi degli studiosi questi dettagli sono indice dell’importanza ricoperta da questo accesso nella storia dell’Aquila. Un ampio accesso consentiva veloci scambi tra la città e il contado e favoriva gli scambi commerciali, era quindi un elemento importante per la vita stessa della città e come tale andava anche difeso. Se non si considerassero le esigenze di una tipica città di origini medievali che basava la sua prosperità sugli scambi commerciali non si comprenderebbe la presenza di un fontanile, utile per il ristoro delle cavalcatura e del bestiame, e di un’antiporta, tipica struttura difensiva.

A questo punto la domanda sorge spontanea: se Porta Barete era così importante perché è praticamente sparita dalla vista, e purtroppo anche dalla memoria, per essere ritrovata solo ora? Qui si giunge con amarezza agli argomenti di riflessione sopra citati, la vicenda di Porta Barete è uno dei tanti episodi in cui traspare tutta la nostra incapacità di valorizzare ciò che abbiamo di prezioso.

Tra i reperti figura un leone di età augustea, se potesse parlare probabilmente chiederebbe “[i]Perché mi avete sommerso di cemento per tutto questo tempo? Sapete che in un altro Paese sarei stato già da tempo, insieme a tutta la struttura di cui facevo parte, un fiore all’occhiello della città?[/i]”

Il povero leone, con Porta Barete, insieme a tanti altri luoghi simbolo della storia cittadina, è caduto vittima della miopia di tanti amministratori che, a partire dal secondo dopoguerra, hanno favorito quell’edilizia selvaggia che ha sfigurato il bel volto dell’Aquila, così come di tante altre città in Italia. Se è vero infatti che il sito venne parzialmente interrato nella seconda metà dell’Ottocento è anche vero che non subì grandi danni da questo intervento e che lo sfregio fu compiuto negli anni Settanta, quando vennero realizzati un cavalcavia ed un complesso di palazzi residenziali.

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Come possiamo dichiararci fieramente Aquilani, come a volte si pretende in maniera quasi isterica, se non ci curiamo dei simboli a cui la sbandierata aquilanità rimanda? Questo concetto potrebbe essere esteso all’intero Paese visto che l’incapacità di valorizzare al massimo l’unica nostra vera ricchezza, ossia il patrimonio storico e artistico, pare essere squisitamente italiana.

Se è vero, come si dice, che il sisma del 2009 ha avuto almeno un effetto positivo, ossia quello di smuovere le coscienze sotto tutti i punti di vista, c’è da sperare che non si ricostruisca una città nuovamente ombra di sé stessa, bensì degna del suo passato. Le basi da cui partire non dovrebbero essere quindi solo ciò che il sisma ha distrutto, ma anche e soprattutto ciò che esso ha portato alla luce e che noi abbiamo sinora ignorato o finto che non ci fosse. Solo così potremo un giorno vivere in una città realmente più bella di prima e potremo davvero dire di essere aquilani, su basi concrete e non retoriche.

*[i]giovane lettore[/i]

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