Attualità

I segni distintivi dell’architettura nel nome di Celestino V

[i]In sei puntate, dal 23 agosto fino al 28, Vincenzo Battista percorrerà e ci farà conoscere – in un diario sul campo, tra ambiente, fonti storiche e un reportage in bianco e nero – i luoghi impervi del Morrone dove visse Pietro dal Morrone, fino alla Valle dell’Aterno che attraversò con il corteo pontificio e infine Santa Maria di Collemaggio nella quale fu incoronato Papa con il nome di Celestino V. Un viaggio alla ricerca dei tratti distintivi di una religiosità popolare che con l’ambiente naturale ha creato il mito dell’uomo solitario della montagna eletto al Soglio Pontificio.[/i]

I segni distintivi dell’architettura nel nome di Celestino V

Quarta Puntata

di Vincenzo Battista

{{*ExtraImg_60583_ArtImgRight_296x448_}}L’Ape Piaggio, “il carrozzino”, lo chiamano così da queste parti, con il suo prezioso carico, ha girato lentamente intorno agli angoli delle alte mura dell’ex carcere della Badia, per proseguire davanti alla gente che al suo passaggio si fa il segno della croce; infine, scoppiettando, infila il lungo rettilineo in salita, questa volta davanti la facciata dell’Abbazia di Santo Spirito del Morrone, la “Casa Madre” dei monaci Celestini divenuta nel 1807, dopo la soppressione dell’Ordine dei Celestini, fondato circa sei secoli prima dall’eremita fra’ Pietro, prima Reale collegio provinciale e poi Bagno penale, a partire dal 1868: un imponente complesso monumentale, ma dalla struttura religiosa conventuale inglobata, integra.

Nella seconda metà del XIII secolo nella frazione di Badia, vicino Sulmona, venne edificata prima la chiesa, dedicata a Santa Maria del Morrone, sopra una grotta dove visse Pietro, poi rivestita “in volta”, in pietre lavorate, poste nelle viscere dell’Abbazia, “alle radici del Morrone” scriveva Pietro Piccirilli nel 1904, e intorno successivamente fu ampliata la sua struttura monastica nei luoghi elettivi dell’eremita.

{{*ExtraImg_60584_ArtImgLeft_300x204_}}Cosi, in questi luoghi, viaggia il “carrozzino”, mezzo di locomozione per i lavori agricoli, per trasportare pomodori e altri prodotti della Conca Peligna verso i mercati o le case a schiera contadine, per esempio di Case Lupi, per rimettere nei fondaci le derrate alimentari utilizzate nella stagione invernale. Ma questa volta il suo uso è diverso e il suo carico straordinario.

Quando si ferma, dal cassone posteriore, lentamente il crocifisso viene liberato dalle corde: “l’originale – dirà più tardi il custode – [i]lo hanno rubato sopra l’eremo di Celestino V, schiodandolo dalla croce; lo abbiamo fatto rifare, con una colletta, è costato molto . . .[/i]”, mentre lo guardo liberare il crocifisso in legno, ancorato con le corde, abbracciato, e infine messo sulle spalle in un atto, un gesto, attento, che sembra assomigliare a una Deposizione medioevale, al Compianto giottesco del Cristo Morto ma in una dimensione popolare, una religiosità intima e nascosta, fuori dai clamori se non quelli del segno di croce dei contadini al suo passaggio tra le case dei borghi rurali. Ma non è finita qui.

In due, il crocifisso, se lo caricato a spalle, e iniziano a percorrere il sentiero che conduce in montagna, in una sorta di Via Crucis forse anche penitenziale, con tanto di soste, per circa un’ora, fin su al romitorio dell’eremo di Celestino V, in un “viaggio” che sarebbe piaciuto a Silone: trascina con sé il senso di appartenenza di una piccola comunità senza tempo e i loro interpreti, silenziosi e nascosti.

Una comunità che conosce il significato originale della diversità verso i protagonismi, e scriveva ancora Silone: “[i]mi interessa la sorte d’un certo tipo di uomo, d’un certo tipo di cristiano, nell’ingranaggio del mondo[/i]“, mentre loro, i custodi, giunti sopra la montagna e all’eremo, vogliono proteggere la figura e la memoria di Celestino V anche in questi atti.

{{*ExtraImg_60585_ArtImgRight_288x448_}}La Badia Morronese, da questa altura, nella veduta d’insieme, appare con la severa architettura. “[i]Dalla ricchezza immensa dagli arredi di grande valore artistico[/i]” scriveva ancora lo storico Piccirilli, un impero ancorché finanziario che da qui, dalla “Casa Madre”, alle pendici del Morrone, controllava ed amministrava centotrenta monasteri sparsi in Italia, nelle Fiandre, in Francia e Germania e una mai stimata proprietà di terre; un potere senza confini, opulento e a volte vessatorio verso i contadini che vivevano sulle estese proprietà della Badia Morronese poiché, scriveva Antonio De Nino nel saggio del 1884 “[i]Il Servaggio di Pratola sotto la Badia Morronese[/i]”( tratto da alcuni documenti relativi ai secoli XVI al XVIII) , “. . . [i]a qual segno di inumanità dové giungere la Badia . . . di oppressioni e nuove violenze. Un fra’ Pietro Paolo della Badia[/i] – continua ancora De Nino – [i]essendo morto Tiberio di Loreto Lucente senza figliolanza maschile, si recò nella costui casa, e a forza di grida e urtoni mandò fuori la vedova e le piangenti orfanelle gettando le loro robe in mezzo alla strada! Ogni volta che io rileggo questo fatto e somiglianza d’altri, l’anima mi ruggisce dentro e torno a maledire quei luttuosi tempi . . .[/i]” che avevano scaraventato lontano i segni antichi di quella solidarietà, dispiegati nella vita di Celestino V e poi nella sua Perdonanza, la prima a cui potevano lucrare anche i diseredati.

I due uomini che portano la croce, oramai un puntino nella montagna, resteranno lì sopra a sistemare il crocifisso uniti, a quella gente, che a molti chilometri di distanza sulla soglia della Porta Santa si raccoglierà il 28 agosto, anche per tutta la notte, nel nome di Celestino V e di nessun altro, e della sola Perdonanza che conoscono sul Morrone.

(Domani 27 agosto la quinta puntata)

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