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La ricostruzione dell’Aquila secondo Zamberletti: dopo i commissari, più potere ai sindaci

L’Aquila, 24 feb 2012 – Oggi "Il Centro " pubblica un’intervista al "padre" della protezione civile italiana Giuseppe Zamberletti, all’indomani dell’incontro tra il ministro Barca e i rappresentanti politico istituzionali dell’Abruzzo, teso a trovare una soluzione per la ricostruzione della città  dell’Aquila.

Zamberletti ha alle sua spalle la gestione dei terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980)  e commenta la notizia della prossima scadenza del mandato del commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi: «Quando incontrerò Chiodi, e spero di averne occasione, gli stringerò la mano come sempre perché è una persona corretta, ma gli dirò anche che avrebbe dovuto pensarci prima a togliersi le vesti del commissario. In Friuli l’impianto per l’emergenza durò, più o meno 5 mesi. Poi furono dati ampi poteri ai sindaci. Fu un passaggio fondamentale per la ricostruzione e ritengo che lo sarà anche per L’Aquila. Malgrado i ritardi». Nella stessa intervista, a cura di Andrea Mori, Zamberletti risponde ad alcune domande sul futuro del territorio aquilano.

Onorevole, è d’accordo che la fine del commissariamento segna un svolta?

«Certo, l’idea di dare potere ai sindaci è fondamentale. Quando l’ho adottata al Sud tutti pensavano che fosse meglio proiettare le autorità da Roma. Io mi opposi e quei sindaci si comportarono in modo mirabile smentendo certi luoghi comuni».

Che cosa cambia nel sistema della ricostruzione?

«Cambia che a un sistema monolitico e burocratico pubblico si sostituisce un’organizzazione più fluida e dinamica, diciamo, a carattere “misto” pubblico-privata. Con la divisione, per quanto riguarda la ricostruzione nei centri storici, in comparti del territorio, in zone cioè più o meno estese come un quartiere».

Andiamo per gradi, cominciamo dai sindaci: che cosa dovranno fare?

«Nelle mie esperienze i sindaci sono stati i responsabili del coordinamento della ricostruzione, si occupavano delle gestione dei fondi da dare ai privati e quindi dei budget da richiedere al governo attraverso la Regione».

La Regione quindi c’entra sempre nella ricostruzione.

«Sì, solo nel ruolo di intermediazione. Mi spiego. La ricostruzione avviene per comparti. Ma lì dove la situazione diventa complessa per motivi tecnici o di disaccordo fra i privati, interviene il sindaco che espropria provvisariamente l’area interessata dai cantieri per restituirla ai legittimi proprietari una volta terminati i lavori».

Un espoprio forzato per velocizzare i tempi. E la Regione?

 «I sindaci erano supportati da un ufficio tecnico centrale, la segreteria generale della Regione, che interveniva di fronte a problemi complessi che altrimenti avrebbero fermato i lavori. I sindaci potevano chiedere aiuto a questa struttura speciale per realizzare così una regia unica per la ricostruzione».

Che cos’ha di diverso questa struttura speciale della Regione dall’attuale struttura dell’emergenza, Sge, del commissario?

«Innanzitutto è una struttura prevalentemente tecnica con grosse competenze, composta da ingegneri e altri professionisti che ha il compito esclusivo di dare una mano ai sindaci nel risolvere i problemi tecnici-urbanistici e di calmierare i costi. E’ un ufficio che aiuta i sindaci a portare avanti gli espropri provvisori e a dirimere i contrasti fra cantieri e a costruire secondo norme stabilite».

 Anche in Umbria la ricostruzione ha proceduto attraverso i comparti.

«Sì, ma lì non c’è stata la mano del pubblico. Era in mano ai privati. Il modello Friuli vuole invece il sistema misto che consente di gestire al meglio la ricostruzione su vasta scala. Anche perché nell’esclusivo ruolo di mediatore Stato-sindaci-Regione di questa struttura centrale c’è sempre un politico. In Friuli ricordo che è stato il sindaco di Gemona che è poi diventato assessore regionale. Sia ben chiaro, ogni operazione di ricostruzione resta e deve restare in mano ai sindaci».

 In Friuli, quanto tempo dopo il terremoto venne avviata questa struttura?

«Iniziò ad operare con la realizzazione della case provvisorie e con l’attivazione degli investimenti industriali post-sisma che avrebbero evitato lo spopolamento».

 Il lavoro, il problema sociale dell’Aquila.

«Se c’è è perché non si è pensato a come trattenerlo e quindi ad investire. Io fui molto criticato per questo, per aver sperperato fondi pubblici, oggi mi ringraziano».

 Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha detto che nel 2014 può terminare l’emergenza. E’ d’accordo?

«Me lo auguro, penso di sì. In due anni si può fare molto, esclusi i centri storici che sono molto più complessi. Mi ricordo di Onna. Ecco il centro storico di Onna non credo che possa essere ricostruito in due anni».

 Il ministro Barca, in visita all’Aquila, ha espresso perplessità su come ricostruire il centro storico. Ha detto che ci vuole “un colpo d’ali”.

«Guardi, il nostro motto è stato “ricostruire dov’era e com’era”. Di certo non si può lasciare un centro storico fantasma. Siamo nel 2012, ci sono strutture abitative centenarie che vanno riviste e adeguate alla tecnologia. Se lei va in Friuli vede che i bar sono stati tutti ricostruiti conservando esteriormente la struttura, dentro invece sono modernissimi».

DI STEFANO: PAROLA DI ZAMBERLETTI SACROSANTE «Le parole del “padre” della Protezione civile Giuseppe Zamberletti sul commissariamento in Abruzzo sono sacrosante e rendono ragione delle lunghe ed estenuanti battaglie condotte in questi anni dal Comune dell’Aquila». Così  l’assessore comunale alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, a commento delle dichiarazioni dell’ex capo della Protezione civile.

«Zamberletti plaude alla fine del commissariamento – ha proseguito Di Stefano – e nota, da esperto qual è in fatto di gestione di terremoti, l’anomalia, tutta aquilana e abruzzese, del prolungamento di un regime commissariale che ha solo rallentato, anziché incentivare, la ricostruzione. Come più volte abbiamo ripetuto in tutte le sedi istituzionali questo stato di cose ha prodotto un vero e proprio caos nella governance, procurando incertezza, disorientamento e difficoltà sia negli amministratori che nei cittadini».

«La sovrapposizione di competenze – ha specificato Di Stefano –  la selva di ordinanze e direttive, spesso incomplete, fumose e in contraddizione tra loro, ha finito per rallentare, e spesso addirittura per paralizzare, i processi che, al contrario, avrebbero dovuto avviarsi subito. Si è trattato di un vero e proprio freno alla ricostruzione, peraltro ulteriormente condizionato da un solo interesse rappresentato da un commissario che è anche presidente della Regione e sostenitore di un candidato sindaco che si opporrà, alle prossime elezioni, all’attuale primo cittadino. Il fatto che il commissariamento, per scelta dello stesso Chiodi, terminerà solo dopo le elezioni, è la riprova di quanto il fattore politico sia strettamente e infelicemente commissionato a quello gestionale. Una situazione – ha concluso Di Stefano – di cui hanno fatto le spese la città e i cittadini».